Fatti di nera, il crimine come racconto: perché amiamo i misteri irrisolti

C’è un filo sottile alla base delle lunghe storie di delitti irrisolti alla nostra immaginazione. Dai grandi gialli, ai podcast di true crime, dai documentari alle serie tv, dai romanzi di Agatha Christie alle moderne soluzioni continuino ad affascinare milioni di persone in tutto il mondo. Ma cosa rende così irresistibile il racconto di un crimine che non trova risposta? Perché le menti umana si perde, con passione, nel sospetto, nella teoria, nella verità, sospetti e verità?

Alla base di questa attrazione c’è, innanzitutto, la nostra naturale inclinazione a cercare spiegazioni. L’essere umano è un animale narrativo: ha bisogno di storie per dare senso al mondo e, soprattutto, agli eventi più complessi e inspiegabili come un crimine. Quando un delitto rimane irrisolto, il cervello umano si attiva per cercare risposte: ipotesi, teorie, sospetti, congetture, persino complotti. Quando però il mistero non si risolve, la mente non si arrende: continua a cercare, a ipotizzare, a immaginare scenari e motivi. In questo senso, il mistero irrisolto è una sorta di sfida finale, che si rinnova ogni volta che qualcuno racconta la storia o si imbatte nei dettagli del caso.

  

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Secondo gli esperti, un altro elemento chiave è il fascino del fronte oscuro, del proibito. I crimini irrisolti ci permettono di esplorare, in modo sicuro, il lato oscuro dell’umanità: la violenza, il tradimento, la follia. Attraverso il racconto di un crimine irrisolto, possiamo provare emozioni forti – paura, angoscia, tensione – senza mai essere davvero coinvolti. È una sorta di catarsi collettiva, un modo per esorcizzare le nostre ansie.

 

Non va dimenticato, infine, il ruolo della suspense. Il mistero irrisolto è per definizione una storia spezzata, che non ha conclusione: il lettore o lo spettatore non sa mai se e quando arriverà una risposta, una non soluzione mai definitiva. E questo crea un’aspettativa costante, un desiderio di sapere che ci spinge a seguire programmi e approfondimenti che accompagnano ogni dettaglio e svolta del caso, spesso arrivando a costruire teorie personali. Per chi desidera seguire quotidianamente questo tipo di narrazioni, la programmazione del Canale 122 – Fatti di nera offre un palinsesto dedicato 24 ore su 24, con inchieste e analisi che aiutano a mantenere viva l’attenzione su casi che continuano a interrogare la nostra coscienza.

 

IL “TERZO UOMO” E LA SINDROME DEL MOSTRO RICICLATO
Da Meredith a Yara, passando per Garlasco

Nel giorno cold case italiani sembra non poter fare a meno della figura del “terzo uomo”: un elemento che scombina le carte e rimette in discussione certezze consolidate. È il caso di Meredith Kercher e quello di Yara Gambirasio, la presenza di un terzo incomodo ha accompagnato le indagini e il dibattito pubblico, lasciando dubbi e ombre che non si sono mai dissolti. Ma cosa succede quando il caso di Garlasco, il “terzo uomo” non è solo un’ipotesi biologica concreta?

Nel caso di Meredith Kercher, la figura del “terzo uomo” ha assunto il volto di Rudy Guede, indicato dopo che le prime attenzioni si erano concentrate su Amanda Knox e Raffaele Sollecito. L’ingresso di Guede nella narrazione processuale ha portato a una revisione delle ipotesi iniziali, ma non ha mai spento i dubbi e le sospetti, anche dopo la sua condanna definitiva. Nel caso di Yara Gambirasio, invece, la caccia al responsabile si è trasformata in una gigantesca indagine sul DNA, con decine di migliaia di campioni analizzati e numerosi sospetti, prima che si arrivasse a Massimo Bossetti. Anche qui, però, il “terzo uomo” non è mai stato del tutto escluso.

Garlasco, però, è diverso. Qui il "terzo uomo" non nasce come strategia difensiva, ma si materializza grazie a tracce biologiche trovate sotto le unghie della vittima, Chiara Poggi. Le ultime indagini hanno portato all’identificazione di almeno due profili genetici maschili non riconducibili ad Alberto Stasi, già condannato in via definitiva. Uno di questi profili sarebbe compatibile con Andrea Sempio, amico del fratello della vittima, mentre un altro, denominato "Ignoto 2", rimane ancora senza nome. Recentemente è emerso anche il nome di Antonio, ex vigile del fuoco, legato solo debolmente alla madre di Sempio e apparentemente sconosciuto sia a lui che al padre. Tuttavia, non esiste un movente, nessuna arma trovata, né un vero legame tra questi soggetti e Chiara Poggi.

Anche i romanzieri, come Agatha Christie, hanno spesso utilizzato il “terzo uomo” per creare colpi di scena e alimentare il mistero. Nel giallo, il “terzo uomo” è spesso l’elemento che spiazza, che ribalta le certezze e porta alla soluzione. Ma nella realtà, questo elemento non fa che alimentare dubbi e sospetti, lasciando spesso i casi aperti e irrisolti.