Energia: entro il 2050 l'80% dell'elettricità nei Paesi del G20 verrà da fonti non fossili
L'80% dell'energia elettrica dei Paesi del G20 sarà prodotta da fonti non fossili. Questa la stima - contenuta nel paper Deloitte-Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale) sulla sostenibilità - messa a punto dal modello Poles (Prospective outlook on long-term energy systems) dell'Unione Europea. Lo schema tiene in considerazione lo scenario che prevede il mantenimento dell'aumento della temperatura media entro gli 1,5 gradi centigradi. Inoltre si fa presente come di fronte ci siano "nuove sfide" da un lato l'aumento dei costi e dall'altro la dipendenza da un ristretto gruppo di fornitori di materie prime critiche. Il 2024 è stato "un anno record per le energie rinnovabili, che hanno rappresentato oltre il 90% della nuova capacità di energia a livello mondiale". Una crescita ulteriore - si spiega - dopo che nel 2023 la capacità globale di energia rinnovabile era già aumentata di oltre il 50% rispetto al 2022. Un'impennata che, in base al paper, è alimentata soprattutto dalla rapida espansione delle principali tecnologie energetiche pulite nei Paesi più industrializzati.
Restano però - continua il paper Deloitte-Ispi - "ancora molti progressi da fare per allinearsi all'obiettivo globale di triplicare la capacità installata di energia rinnovabile entro il 2030". Secondo l'Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (Irena) "per raggiungere questo target la capacità dovrà crescere del 16,6% all'anno fino al 2030". Si tratta - osservano Ispi e Deloitte - di "una sfida ambiziosa alla quale sono chiamati tutti i Paesi" dedicata a "come conciliare gli obiettivi di sostenibilità e le esigenze di sicurezza energetica, rese ancora più ineludibili dalle tensioni geopolitiche e commerciali". La transizione verso "un'economia verde è fondamentale per mitigare gli effetti del cambiamento climatico. Le emissioni di CO2 legate all'energia hanno raggiunto il livello record di 37,7 gigatonnellate (Gt). Il settore elettrico è responsabile per il 36% delle emissioni, seguito dall'industria (26,5%), dai trasporti (21,2%) e dall'edilizia (7,9%). Le stime indicano che entro il 2050 il cambiamento climatico potrebbe provocare circa 14,5 milioni di morti, perdite economiche per 12,5mila miliardi di dollari e fino a 1,1mila miliardi di spese sanitarie extra".
Un elemento di destabilizzazione verso la transizione energetica - viene rilevato - è "rappresentato dall'elevata concentrazione geografica di minerali critici, essenziali per la produzione di tecnologie pulite". Per esempio "la Repubblica Democratica del Congo fornisce il 70% del cobalto, la Cina il 60% delle terre rare e l'Indonesia il 40% del nichel, l'Australia rappresenta il 55% dell'estrazione del litio e il Cile il 25%". Anche la lavorazione di questi minerali è "altamente concentrata: la Cina è responsabile della raffinazione del 90% delle terre rare e del 60-70% di litio e cobalto". "Riuscire a bilanciare la spinta verso la decarbonizzazione con la necessità di garantire approvvigionamenti energetici stabili, prezzi sostenibili e filiere industriali resilienti - commenta Andrea Poggi di Deloitte - rappresenta oggi una delle principali sfide strategiche per le economie avanzate, chiamate a guidare una transizione sostenibile anche sottoo il profilo economico e geopolitico. Per affrontarla, è fondamentale promuovere un approccio sinergico e collaborativo tra istituzioni e imprese, valorizzando innovazione e tecnologie emergenti come leva di crescita". "La transizione energetica non per forza incide negativamente sulla sicurezza energetica, e viceversa - conclude Antonio Villafranca di Ispi - è infatti nell'interesse stesso dei Paesi industrializzati guidare la transizione verde e garantire una crescita più strategica e sostenibile. Tuttavia, sono necessarie nuove politiche e risorse finanziarie per affrontare l'impatto a breve termine su imprese e famiglie".