Il virus che ha travolto l'Italia: "Radiografia di una tempesta", il libro di Andrea Amata

Alberto Fraja

Quel che è accaduto nel mondo negli ultimi tre anni è quanto di più squassante si potesse riversare sul concetto dogmatico di fine della Storia. Un concetto sul quale l’Occidente aveva creduto di adagiarsi comodamente credendo di coltivarvi in eterno l’incontestabile e indiscutibile liturgia dell’ordoliberismo oggi totalmente messo in discussione dal pensiero nazional-patriottico e dai nuovi equilibri geopolitici che vanno configurandosi.

Il globo terraqueo, insomma, dopo la pandemia da Covid e il conflitto russo ucraino nel cuore dell’Europa non è e non sarà più lo stesso. L’invasione russa ha sconvolto le reti dell’energia globale, mutato gli equilibri internazionali di potere e accelerato il declino europeo, accrescendo l’instabilità dell’unipolarismo americano opposto alla Cina. 2019-2022: anni faticosi e rivoluzionari come un secolo come scrive Nicola Porro nella prefazione a “Radiografia di una tempesta” (Giubilei Regnani, 388 pagine, 22 euro) libro nel quale Andrea Amata, editorialista del Tempo, ha raccolto alcuni articoli scritti per il nostro giornale e per il blog dello stesso Porro. Nel volume Amata fotografa i riflessi della crisi internazionale sui fatti di casa nostra dimostrando una non comune lucidità e profondità d’analisi. 

  

L’autore, sfoggiando una prosa gustosa e precisa, ci presenta una raccolta ricchissima di riflessioni che, suddivisi per macro-tematiche, ci accompagna negli anni da poco trascorsi: dalle contraddizioni della politica italiana ed europea, attraverso la pandemia, appunto, fino alla sanguinosa guerra russo-ucraina. Perché è solo prestando estrema attenzione alla storia appena trascorsa che regola anche quella presente, avverte Amata, che si può comprendere che le alternative non mancano, nonostante singole personalità abbiano piegato a loro piacimento e pieghino tuttora gli angoli degli eventi, scatenando conseguenze inaspettate sui popoli. 

“La pandemia, generata dal virus sfuggito al controllo della Cina, ha squassato la società globale, catapultandoci in un periodo di limitazioni delle nostre libertà a cui non eravamo abituati - scrive tra l’altro Amata -. L’impreparazione con cui l’Italia ha affrontato l’emergenza non è addebitabile a chi è stato investito dal furoreggiare epidemico, ma la gestione della crisi sanitaria ed economica ha mostrato le insufficienze della classe politica nell’organizzare l’argine alla diffusione del virus e le difese alla struttura vitale del nostro sistema produttivo”. 

Si è dovuti dunque ricorrere, una volta di più a un tecnico, un ex banchiere centrale come Mario Draghi per allestire una sorta di gabinetto di guerra che dotasse il Paese “di un premier autorevole e dal prestigio internazionale, in grado di alleviare gli effetti del flagello pandemico sulla sostenibilità sociale e di coordinare la ripresa economica a rischio” dopo le comiche rappresentazioni degli improbabili esecutivi precedenti. Dopo un anno di pandemia e quasi tre di alleanze eterogenee foriere di incidenti politici, l’esecutivo Draghi “ha generato forti aspettative, che in parte sono state soddisfatte, soprattutto sulla campagna di vaccinazione, ma ha reiterato, a tratti esaltandole, quelle criticità connaturate alle coabitazioni fra i dissimili”.

”Il rischio è che tutti questi avvenimenti concentrati e spesso drammatici, li si voglia archiviare, nascondere come polvere sotto a un tappeto, un po’ per dimenticare il dolore e poi perché tante innegabili ipocrisie ci hanno resi ormai anestetizzati nei confronti delle grandi istituzioni, delle loro promesse e dei loro riti - sottolinea dal canto suo Porro -. La tentazione di procedere e basta, in qualunque modo, senza grandi aspettative è forte, eppure questa non può essere una soluzione, ma solo un ripiego. Sarebbe infatti un peccato ulteriore, se degli eventi di questi anni non facessimo tesoro, se non li analizzassimo per comprenderne le falle nella prospettiva di scelte nuove, se non avessimo imparato a prestare attenzione e a scegliere quali debbano essere da ora le nostre priorità. La verità in tasca, tuttavia, non è cosa che si possa pretendere, soprattutto quando la storia di cui si narra non si è ancora conclusa”.