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di Dina D'Isa Nel segno della leggerezza adolescenziale, tra vintage anni '60 e nostalgia per le disimpegnate avventure dei boyscout, si alza il sipario sulla 65esima edizione del Festival di Cannes con il film d'apertura «Moonrise Kingdom».

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Unafiaba in fuga dalla realtà e dall'attualità con un cast ad alto tasso di star, quasi a voler distanziare i tempi del Festival dal presente di una Francia e di un'Europa che devono fare i conti con i mala tempora currunt del terzo millennio. E persino sull'affiche ufficiale della kermesse campeggia il volto imperituro di Marylin mentre soffia sulle 65 candeline del compleanno del Festival con un'espressione sognante e lontana dai disastri dell'oggi. I personaggi un po' fumettistici di Anderson interpretano la fuga d'amore di due dodicenni (Jared Gilman e Kara Hayward) che scappano da una cittadina del New England mettendo in subbuglio l'intera comunità isolana nella ricerca. Ecco lo zelante e impacciato capo scout (Edward Norton), i genitori della ragazzina (Bill Murray e Frances McDormand), la funzionaria dei servizi sociali (Tilda Swinton) che vuole rimettere il ragazzino in fuga in orfanotrofio e il burbero sceriffo (Bruce Willis). Per il visionario Anderson, questo film si avvicina molto ai libri di favole che legge la protagonista, «come ad esempio quelli di Susan Cooper che amo molto. Anche questa pellicola vive quella stessa atmosfera e potrebbe benissimo diventare un libro d'amore tra due ragazzini del 1965. Proprio come quelli che Susy ha nella sua valigia». Per Bruce Willis il film (che sarà distribuito in Italia da Lucky Red) rappresenta invece la classica storia di un ragazzo che a un certo punto vuole fuggire dalla sua famiglia: è quasi un precursore di quegli anni Sessanta in cui metà dei ragazzi facevano tanti progetti pur di cambiare le cose». Grande attenzione per l'italien Moretti, presidente della giuria che (finora) rilascia interviste solo ai francesi e detta le regole ai suoi colleghi giurati (Alexande Payne, Jean Paul Gaultier, Ewan McGregor, Emmanuelle Devos, la palestinese Hiam Abbas, la regista inglese Andrea Arnold e il regista-produttore-ministro della cultura di Haiti, Raoul Peck). E come ha detto il delegato del festival Thierry Fremaux, Moretti è «concentrè, concernè e honorè» (concentrato, interessato e onorato), ma soprattutto «molto democratico», come ha sottolineato lo stesso regista, l'anno scorso in gara a Cannes con «Habemus Papam» (e già Palma d'oro nel 2001 con «La stanza del figlio»). «Sarò molto democratico - ha detto Moretti, l'"autarchico" del 1976 - Una specie di capoclasse, uno dei nove. La cosa importante è vedere tutti i film con la stessa attenzione e lo stesso rispetto, per questo ci dobbiamo vedere spesso, così non li dimentichiamo». Al giornale Liberation il regista ha poi parlato di altre tre regole: «Non applaudire né prima né dopo le proiezioni, perché saremo osservati e ogni gesto sarà interpretato. Poi, vedere tutti i film, dall'inizio alla fine e, quindi, non andare alle feste dei film in concorso». E, sempre ai giornali francesi, ha confessato che dai film del festival si aspetta «di essere sorpreso», sperando evitare il deja vu e qui Moretti cita un classico di Mina, «parole, parole, parole. Che ognuno di noi dice avant le festival». Tra ieri e oggi sfileranno, intanto, sugli schermi della kermesse d'Oltralpe vita e opere di Woody Allen e Roman Polanski, l'uno in «Cannes Classique» e l'altro come evento fuori concorso. Sia l'americano Robert Weide, che si è dedicato ad Allen, sia il franco-americano Laurent Bouzereau, che ha raccolto le confessioni di Polanski, non cercano lo scoop o la frase ad effetto. Osservano i loro protagonisti con riprese discrete, domande mai inopportune e testimonianze affettuose. Allen è il soggetto di un racconto buffo che ripercorre il cammino di Woody: dall'infanzia a Brooklyn fino ai primi passi sulla strada del successo comico, fino al suo recente atto d'amore per la cultura europea (da Barcellona a Parigi e a Roma). Inutile dire che a celebrare il geniale battutista sono accorsi in tanti e tutti dicono la loro sul grande schermo: dalla musa Diane Keaton a Martin Scorsese e poi Sean Penn, Penelope Cruz, Antonio Banderas, Scarlett Jiohansson e Naomi Watts. Insomma la sua famiglia allargata verso la quale Woody lancia con affetto molte delle sue folgoranti battute. Di tutt'altro genere è, invece, il documentario dedicato all'ottantenne Polanski nel «Film Memoir» di Bouzereau. In questo caso il protagonista è presente sulla scena fin dalle prime scene, ricordando il ghetto di Cracovia, mentre scorrono le sequenze delle sue prime pellicole, nella rievocazione della sua fuga suggestiva verso l'Occidente, lontano dalla Cortina di ferro. E poi il miraggio di Hollywood, la tragedia della sua bellissima moglie Sharon Tate, il dramma delle accuse e la vergogna per il processo per violenza sessuale. Da qui ancora la fuga, stavolta dagli Stati Uniti. Fino al riscatto con l'Oscar per «Il pianista» e il ritiro in Svizzera con tutte le vicissitudini recenti e quella voglia di vivere che non smette di albergare in lui. Nonostante, l'età, le peripezie, gli sbagli e le accuse. Anche Polanski si guarda con distacco ed ironia, ma da lui emana di continuo una rabbia trattenuta, una frenesia creativa che sembra quasi non sia ancora del tutto sbocciata. Chi però sperasse di trovare nel «Film Memoir» (da domani nelle sale italiane distribuito da Lucky Red) rivelazioni, autoassoluzioni o novità senza precedenti, non verrà soddisfatto dalla proiezione. Con due film in concorso, l'inaugurazione delle sezioni parallele, il festeggiamento dei 50 anni di 007 (la saga cinematografica più longeva della storia del cinema che iniziò nel 1962 con «Licenza di uccidere») e la premiazione del cineasta turco Nuri Birge Ceylan, il 65 festival di Cannes entra oggi nel vivo. Arriva (in concorso) il francese «De rouille et d'os» di Jacques Audiard con Marion Cotillard e Matthias Schoenaerts. Storia d'amore e melodramma che riunisce lo sbandato Ali e l'istruttrice ittica (alleva le orche marine) Stephanie. Lui ha un figlio di cinque anni e ha trovato rifugio dalla sorella nel sud della Francia. Lei perde le gambe in un incidente sul lavoro e ha bisogno di aiuto. Con Audiard ci sarà oggi in gara «After the battle» di Yusry Nasrallah con Mena Shalaby e Bassem Samra: incontro storico e destinato a cambiare le vite di entrambi quello tra Mahmoud e Reem. Lui viene dai quartieri poveri del Cairo e, nella primavera araba, era tra i miliziani che caricarono gli insorti sulla Piazza Tahir il 2 febbraio del 2011. Lei viene dalla buona borghesia cairota, è laica e moderna, milita tra i giovani della rivoluzione. Ma, nonostante tutto, i due non riescono a odiarsi e ignorarsi.

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