di Lidia Lombardi Un romanzo storico ambientato nel 1938, protagonista un giovane ingegnere minerario romano reclutato per una missione archelogica in Egitto alla ricerca della tomba perduta di Alessandro Magno.
È«La lingua segreta degli dei», prima prova di narrativa per Barbara Frale, la storica da dieci anni Officiale dell'Archivio Segreto Vaticano che ha tra l'altro sviscerato le carte su Templari e Sacra Sindone. E che ora, come dice a Il Tempo, «affronta l'esperimento-romanzo per avvicinare ai lettori la storia, materia un po' in disuso. Infatti la trama è in gran parte tratta da documenti della Segreteria di Stato del Vaticano». Però, professoressa Frale, il suo libro basato sulla realtà ha un titolo alla Dan Brown. L'ha scelto il mio editore. "Più intrigante", mi hanno detto in Mondadori. Io volevo chiamarlo "Le notti d'Oriente", perché c'è dentro il fascino dell'esotico diffuso nella Roma dei gerarchi fascisti e negli ambienti altolocati e che induce Alessandro Borghesi, il neolaureto protagonista, a farsi cooptare in quella che sarà davvero una strana avventura. Le è dispiaciuto cambiare? No. Sa che cosa mi aveva detto mia madre del primo titolo? "Sembra il nome di un profumo per donna". Dunque non ho puntato i piedi. È la mia prima esperienza nella narrativa, sarebbe stato fuori luogo. Che cosa c'è di storico nel romanzo? Innanzitutto il contesto, la contesa tra italiani e inglesi. La missione archeologica si svolge nell'Oasi di Siwah. Lì un archeologo tedesco morto, Brunner, aveva individuato non solo reperti ma un giacimento di greggio. Il territorio è nelle mire degli italiani, che occupano la Libia, e dei britannici, che controllano l'Egitto. Poi affronta il tema della persecuzione antiebraica. Il protagonista si innamora di una giovane egittologa allieva di Brunner. E con lei scopre che l'Ovra ha intercettato una telefonata tra Chicago e la Segreteria di Stato di Pio XI. Ebbene, tra le carte meno facilmente accessibili della Segreteria ce ne sono di relative alle manovre tra ricchi ebrei statunitensi e Vaticano. Anche la cornice archeologica ha pezze d'appoggio? Sono fondamentali perché ho dovuto descrivere un mondo di scoperte e scavi non nell'ottica odierna ma secondo quanto avveniva negli anni Trenta. Un esempio? Per le foto dei reperti in pieno deserto c'era bisogno di una camera oscura che veniva ricavata scavando nella sabbia. Nel romanzo la ricostruzione delle tombe egizie è stata desunta dal "Diario di scavo di Tutankhamon" di Howard Carter. Altre notizie le ho prese dal manuale del Gardiner. Infine l'iscrizione in geroglifici che allude alla fonte di un potere misterioso e sono il rompicapo più oscuro per il protagonista è desunta da un papiro conservato nei Musei Vaticani. Tanto l'invenzione è sorretta da fatti avvenuti che alla fine del volume allego una Nota storica con gli estremi dei documenti e un "riepilogo" su quanto effettivamente successo. Entrano in scena, nella pagina scritta, personaggi realmente esistiti? Sergio Donadoni è un grande archeologo ancora vivente. È lui che capisce quanto di strano c'è nella spedizione italiana, è lui che mette in guardia il giovane Alessandro Borghesi, uscito invece completamente dalla mia fantasia, anche con quel nome volutamente banale. Ancora, fanno qualche parte Italo Balbo e Galeazzo Ciano. La storia ha all'inizio un'ambientazione romana. L'incipit ruota attorno a piazza di Spagna. La chiesa di Santa Maria in Traspontina è uno dei posti in cui si reca il giovane ingegnere per incontrare lo zio, che è lì parroco e che lo aiuta per ottenere l'incarico dal Vaticano. Ma lei, che tratta da storica misteri e materiale scottante come le vicende dei Templari o quelle della Sindone, non si sente sminuita a fantasticare su lati poco noti dei quali i documenti che ha visionato sono soltanto una faccia? È il contrario. Vede, quando si scrive di storia non si può uscire dal dettato del documento. Ipotesi personali, sensazioni, interpretazioni inficiano l'opera dello studioso, che deve tendere all'oggettività. Invece se dal saggio si passa alla categoria romanzo storico, allora suggestioni e sospetti provenienti dalle carte possono trovare spazio, legittimamente. Questo libro è lo sviluppo delle intuizioni che ho riferito appunto in un saggio "Il principe e il pescatore. Pio XII, il nazismo e la tomba di San Pietro". E infatti, al di là del lato avventuroso e immaginario, un nucleo forte è proprio quello della persecuzione degli ebrei. Nel '38 non c'erano ancora i lager, però, per, esempio, 30 mila di loro furono uccisi a bastonate. E rastrellamenti e leggi razziali erano realtà. Che ne pensa di Dan Brown? Invidioso chi sputa sentenze contro di lui. Scrive romanzi, non è dunque tenuto a rispettare la verità. E io, da storica, lo assolvo.