Manca ancora un punto di vista concor- de sull'attribuzione a Caravaggio del San- t'Agostino nello studio, rinvenuto in una collezione spagnola da Silvia Danesi Squarzina e che, alla sua prima uscita lo scorso anno, aveva sollevato feroci polemiche.

IlS. Agostino ha un indiscutibile bagaglio documentario, ma evidenze stilistiche che ne rimanderebbero la fattura al 1640 circa. L'opera è stata oggetto di una tavola rotonda cui hanno partecipato i maggiori esperti del '600 romano, tra cui, oltre alla Squarzina, la soprintendente del Polo museale romano Rossella Vodret e Vittorio Sgarbi. Addirittura, per affrontare il tema dell'autenticità dell'opera, la Vodret ha costruito intorno al dipinto la mostra «Roma al tempo di Caravaggio» per consentire agli studiosi un'ulteriore riflessione su come si dipingeva nella città eterna prima, durante e dopo la venuta del Merisi . Questo perché il Sant'Agostino è, secondo la Squarzina, un'opera giovanile, dipinta dal genio lombardo a fine '500, quando i suoi primi passi erano sostenuti dalla famiglia Giustiniani. Negli inventari della casa aristocratica sono state ritrovate, precise e circostanziate, le prove della presenza del dipinto, classificato da Vincenzo Giustiniani quale opera certa del Merisi. Che il dipinto venisse da quella raccolta è documentato quindi da un'etichetta ottocentesca, posta sul retro, in cui in lingua spagnola è citata la proprietà: Recanelli di via del Governo. Le indagini diagnostiche hanno evidenziato qualche pentimento e una tecnica compatibile con la produzione romana del Merisi. A fronte di queste prove, Sgarbi si è detto contrario alla attribuzione, perché «Caravaggio non ha mai realizzato niente di simile», fattezze frigide che non rispecchiano la sua ansia creativa. Per non parlare dell'ambienta- zione (un'austera biblioteca), che fa collo- care l'opera al 1640. Per lui l'autore potrebbe essere un caravaggesco.