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di MARCO RESPINTI «Capitalismo» è comunque un termine ancora ambiguo, zavorrato da quella sua pesante matrice marxiana, di origine denigratoria, che concentra tutto sulla brutalità della materia sia essa il denaro, il lavoro, la produzione o i suoi

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L'economialibera di mercato, infatti, è il modo concreto in cui prende forma la capacità creativa dell'uomo fatto a immagine somiglianza del suo Creatore di agire nella storia, dunque davvero carnalmente, in omaggio al perno centrale del cristianesimo che è l'Incarnazione, allo scopo di maturare quell'evangelico centuplo quaggiù che è caparra, annuncio e promessa della beatitudine in Cielo finalmente piena. Sì, perché il «capitalismo» non solo non si comprenderebbe ma nemmeno esisterebbe fuori dalla cultura e persino dalla fede cristiana. La vecchia tesi di Max Weber (1864-1920) sul portato dell'etica calvinista? Niente affatto, sempre ammesso che Weber abbia scritto davvero le cose che gli sono state attribuite, soprattutto con lo schematismo rigido che gli è stato messo in conto. All'origine dell'economia libera di mercato non sta infatti per nulla il protestantesimo, bensì il cattolicesimo. Anzi, addirittura lo spirito francescano, quello che in un'ottica maldestra quando non malevola, e purtroppo maggioritaria, viene ridotto a uno stucchevole pauperismo chiliastico di sapore protocomunista. Di pregi scientifici e culturali la Scuola austriaca di economia ne ha molti, e fra questi spicca certamente l'aver con nonchalance e persino serendipità mostrato con i fatti che la prospettiva cattolica non è affatto nemica del «capitalismo». Il vertice però essa lo raggiunge certamente nei suoi estremi libertarian che non solo testimoniano quella compatibilità, ma addirittura dimostrano come il «capitalismo» promani direttamente dalla concezione cattolica della persona e del suo imprescindibile muoversi e organizzarsi nella società. Fortunatamente il muro del silenzio su questa realtà basilare ha cominciato da un po' a sbrecciarsi grazie all'acribia degli studiosi «austriaci» d'Oltreoceano e, in parallelo, alla sapidità con cui un serio e nutrito stuolo di studiosi nostrani ha cominciato a rileggere la storia dell'«Italia prima dell'Italia» senza accomodarsi facilmente su certi cliché storiografici frusti quantunque di gran moda. Gemma dunque da una filiera già ricca e rispettabile il volume Antologia delle prediche volgari di san Bernardino da Siena (1380-1444) che Flavio Felice e Mattia Forchesato (autori di due importanti saggi introduttivi) pubblicano per i tipi della senese Cantagalli con l'importante sottotitolo Economia civile e cura pastorale nei sermoni di san Bernardino da Siena e una impagabile postfazione di Oreste Bazzichi. I discorsi in esso proposti, pronunciati dal santo toscano tra 1425 e 1427, disvelano infatti un mondo finalmente autentico colpevolmente negatoci dal trompe-l'œil del luogocomunismo che ci avvelena l'apprendimento, la riflessione e il giudizio sin dalla più tenera età. E così si scopre che armoniosamente l'amore per il prossimo abbraccia la ricerca del benessere personale, la libertà impalma il diritto, i diritti (ivi compresi quelli di Dio) si sposano ai doveri, la carità va per mano alla mercanzia. Prezzo, capitale monetario, interesse e sconto sono gli argomenti con cui la cultura cattolica del francescanesimo investe il mondo. La partita doppia nasce in un monastero di frati minori. E le prime battaglie contro l'usura sorgono con i fraticelli che ne separano le sorti dal commercio profittevole. C'è ne già da vendere (appunto) per ribaltare completamente i corsi universitari di economia, scienze sociali e storia. A quando dunque questa grande riforma di benedetto conservatorismo radicale?

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