sergente Adi Karni
Gaza, parla il soldato dell’Idf: “Nessun genocidio, noi militari siamo lì per estirpare Hamas”
Si chiama Adi Karni ed è primo sergente dell’Idf, l’esercito israeliano, ed è specializzato in ingegneria di combattimento a 22 anni. Quando lo abbiamo incontrato a Roma per intervistarlo, era in una delle molte tappe che ha fatto in giro per il mondo, in cui ha partecipato a diversi dibattiti pubblici per raccontare come vive un soldato la guerra in Medio Oriente. Gli abbiamo chiesto come viva il conflitto e il 7 ottobre, ma anche come viva le morti di civili palestinesi e come ci si senta a vedere vite di uomini che non appartengono ad Hamas spegnersi così.
Perché è a Roma? Fa parte dei soldati che sono in vacanza in Italia?
«Sono un soldato dell’IDF, oggi un riservista che sta per tornare in guerra a Gaza. Ho scelto di trascorrere questo tempo viaggiando per il mondo non per turismo ma per raccontare la mia testimonianza. Non faccio parte dei soldati qui in vacanza; ho solo sentito delle polemiche nate intorno a quella vicenda. La mia è una scelta: voglio che si sappia chi siamo davvero, cosa abbiamo vissuto e perché lo stiamo raccontando».
La guerra l’ha cambiata?
«Certo. Tutto è cambiato dopo il 7 ottobre, anche se per gran parte del mondo sembra che per noi non ci siano state sofferenze, ma io ho visto morire il mio migliore amico, quando saluto i miei genitori non so se li rivedrò. Viviamo in una condizione di sospensione permanente: una telefonata può rimandarti al fronte in qualsiasi momento. Non è possibile staccarsi davvero, perché la sicurezza delle nostre famiglie e del Paese resta una priorità per ognuno di noi».
Ma sono morti anche tanti palestinesi. Come ci si sente ad aver ucciso anche dei civili?
«Questa è una delle accuse più dolorose, e vorrei chiarire una cosa da subito: non c’è alcuna intenzionalità da parte nostra di uccidere civili. Il vero obiettivo di Israele è estirpare quello che consideriamo il male reale, Hamas, un’organizzazione che si nasconde tra la popolazione civile e utilizza scuole, ospedali e case come basi e scudi umani. Questo non spiega il contesto in cui siamo costretti ad agire. Per noi non è una guerra per eliminare una minaccia che mette a rischio la nostra esistenza. Ci vede come criminali senza rendersi conto che, secondo noi, il male sta da un’altra parte. Non siamo mostri come vogliono dipingerci».
Ci sono vittime, molte, e tra loro bambini.
«Non sapete, perché non siete lì, che i bambini vengono strumentalizzati, e a passare come carnefici siamo solo noi. Tutti dimenticano che è Hamas che ha dichiarato guerra, si è organizzata per attaccarci e si nasconde tra i civili. Per noi l’obiettivo strategico è estirpare quella struttura militare e politica che rappresenta una minaccia reale e persistente. Non c’è nel nostro agire la volontà deliberata di eliminare anzi, ma noi combattiamo per la nostra sopravvivenza in uno Stato che, fin dalla sua nascita, è stato considerato illegittimo da chi non voleva la sua esistenza».
Come risponde all’accusa di genocidio?
«Non è genocidio difendersi da chi dichiara apertamente di voler cancellare il nostro Stato; è una lotta per la sopravvivenza: il male sta altrove e la nostra azione è necessaria per proteggere il futuro del nostro popolo, perché ci odiano, odiano il popolo israeliano, ma la loro propaganda ha vinto in chi non vuole vedere come stanno le cose».