difesa aerea

Iran, la strategia fallita dell’attacco a tenaglia. Caccia e batterie decisive per Israele

Gabriele Imperiale

Un immenso campo di battaglia. È così che gli analisti descrivono il cielo del Medio Oriente nella notte dell’attacco dell’Iran ad Israele. Attacchi dal Libano, dallo Yemen e dal territorio iraniano da un lato. Caccia in volo e batterie antiaeree dall’altro. Una notte difficilissima per le forze dello stato Ebraico e per gli alleati di Tel Aviv che hanno fornito supporto, non solo strategico, alla difesa israeliana. Uno scontro con tecnologie avanzate e combattuto sui cieli di sei paesi della regione. A ricostruire le fasi dell’attacco iraniano e la difesa israeliano e dei suoi alleati, Gianluca Di Feo su Repubblica. Gli Ayatollah avrebbero pianificato e lanciato la loro rappresaglia coordinando sciami di droni e missili. “Un terribile tappeto volante – scrive il giornalista – che sull’Iraq si è diviso in una tenaglia destinata a colpire Israele da Nord e da Sud”. 

 

  

 

Per saturare le difese ebraiche, gli iraniani hanno sincronizzato i tempi di lancio. Per primi i droni: i Mohajer-10, con un carico di trecento chili di esplosivo, e gli Shahed 136 che hanno trenta chili di tritolo. 5 ore il tempo di volo stimato. Due ore dopo, via ai missili da crociera – 8mila chilometri l’ora e due ore di volo per raggiungere l’obiettivo – e infine l’arma più temibile degli Ayatollah. 10mila chilometri l’ora, traiettoria altissima e 9 minuti per coprire la distanza tra Iran e Tel Aviv: sono i missili balistici Sejil, Kheibar e Haj Qasem, intitolato alla memoria del generale Soleimani ucciso nel 2020 dagli americani. Nel frattempo, in azione le milizie sciite irachene, yemenite, siriane e libanesi che hanno tentato di distrarre la contraerea israeliana. Hezbollah ha fatto fuoco contro il comando delle batterie terra-aria che proteggono il Golan, zona che assieme al Negev era tra gli obiettivi della rappresaglia di Teheran. 

 

 

L’IDF ha risposto schierando tutto l’arsenale. Gli Arrow, i missili di Tel Aviv che si sono scontrati contro i missili balistici; le “Fionde di Davide” che hanno abbattuto i missili cruise e infine, Iron Dome, che si è occupato dei droni. A supportare Tel Aviv, due incrociatori della marina statunitense che hanno offerto il sistema antimissile Aegis. In campo anche i caccia dell’IDF e quelli alleati di Stati Uniti, Francia e Regno Unito. E proprio gli stormi sono stati fondamentali nell’abbattimento dei velivoli e dei missili nemici. “Il Pentagono si è convinto che lo strumento migliore per distruggere droni e missili cruise siano gli aerei – scrive Di Feo –. Anche gli israeliani lo hanno sperimentato nelle scorse settimane, sfruttando le capacità straordinarie dei sensori degli F35”. Decine di F35, F16 e F15 sono riusciti nel loro compito. La difficoltà maggiore è stata quella di individuare i droni dato che i loro motori a elica emettono poco calore e sono costruiti in materiali plastici che sfuggono ai radar. Ma una volta scoperti, complice la loro lentezza, sono stati facile bersaglio dei caccia di Tel Aviv, di quelli americani – gli F16 dislocati in Giordania e gli F-18 della portaerei Eisenhower dal Mar Rosso – degli Eurofighter britannici e dei Mirage 2000 francesi. Nei cieli di Siria, Iraq e Giordania i duelli si sono susseguiti con i jet israeliani che hanno usato i cannoncini di bordo per distruggere i fragili bombardieri teleguidati. Caccia che ora potrebbero reagire all’attacco iraniano con straordinaria efficienza “vista la supremazia dell’aviazione israeliana”. L’inizio, forse, di lunghi giorni di guerra.

 

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