11 settembre

11 settembre, non ci sono più gli Stati Uniti di una volta. Anche Bruce Springsteen stona a Ground Zero

Pietro De Leo

Deve essere tutto perfetto, quando sei la prima potenza al mondo, che ha distribuito sogni ed esempi, ha sparso forza ovunque, e quell’anelito collettivo al farcela nonostante tutto e tutti. Al battere ogni nemico. Deve essere tutto perfetto, anche nel dolore, nel sentimento del tragico che deve essere tragico sul serio, pure nella sua trasmissione al mondo. E allora, data questa premessa, ecco che quel Bruce Springsteen clamorosamente e rumorosamente stonato alla cerimonia di commemorazione dell’11 Settembre non è un incidente da bello della diretta, ma il simbolo di un’America che deve ritrovarsi.

“The Boss” avrebbe dovuto avere un ruolo talmente importante da non essere stato nemmeno citato nel programma del rito laico di Ground Zero. Una sorpresa. Per i presenti e - crediamo - per il mondo collegato. Si palesa e canta “I'll see you in my dreams” tormentando il testo in una serie di stecche da provar pena. Verrebbe quasi da ridere, ma è tutt’altro. C’è molto di preoccupante e patetico in questo.

  

Gli Stati Uniti, dalla fine della seconda guerra mondiale in poi, hanno parlato al mondo anche con la forza della loro immagine, il racconto di una gloria sempre e comunque, che non ammetteva sbavature. E la chiave d’accesso alle coscienze di mezzo mondo è stata la cultura pop, dalla musica al cinema fino ai campioni dello sport diventati superstar a tutto tondo. Tanto più per i messaggi politici.

Persino un film non memorabile in sé come Rocky IV (quello in cui muore Apollo e poi Stallone si fa massacrare da Ivan Drago, pugile di regime dei comunisti russi, e poi alla fine vince) lo è diventato per la dirompenza con cui viene veicolato il significato (ovviamente politico, si era ancora in Guerra Fredda), la forza delle suggestioni, l’equilibrio di ogni cosa al posto giusto. E oggi ci ritroviamo con questo mito stanco, che se avessimo chiuso gli occhi, ascoltando solo la voce, quasi ci sarebbe sembrato di assistere alla vecchia Corrida di Corrado, quando cantanti da doccia si esponevano al pubblico ludibrio con le loro esibizioni autodevastanti. Ed in questo, quindi, si racchiude il senso degli Stati Uniti di oggi, dove la spocchia liberal, chinata per quattro anni a deridere, attaccare, delegittimare Donald Trump e i suoi elettori, ci ha consegnato un Presidente come Biden capace di compiere il disastro Afghano. E l’immagine pietosa di un’emozione deturpata, a 20 anni da quella strage islamica che ha tolto un po’ di vita a tutti noi.