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L'iran non rispetta gli accordi sul nucleare. Pronta la taglia sulla testa di Trump

Carlo Antini
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Continua l'escalation di tensione in Medioriente, dopo l'uccisione in un raid delle forze Usa a Baghdad del generale iraniano dei Pasdaran, Qassem Soleimani. Dopo aver promesso di colpire «siti militari» statunitensi, Teheran annuncia che non rispetterà più i limiti fissanti nell'accordo con le potenze mondiali nel 2015 (anche con gli Usa, poi usciti unilateralmente per volontà di Donald Trump nel 2018). La Repubblica islamica si sgancia così dal testo che, in cambio dell'alleviamento delle sanzioni economiche, aveva limitato il suo programma nucleare per timore che si dotasse di armi atomiche. Niente più limiti all'arricchimento e allo stoccaggio di uranio, quindi, né allo sviluppo di attività nucleari. Attraverso la tv di stato, tuttavia, l' Iran ha anche insistito che la collaborazione con l'Agenzia internazionale dell'energia atomica «continuerà come prima» e che resterà aperto a negoziati con i partner europei, che non sono riusciti sinora ad accontentare la sua richiesta: poter vendere il suo greggio all'estero nonostante le sanzioni Usa. E ha confermato l'impegno a non lavorare per dotarsi di armi atomiche. Intanto è stata emessa una taglia da 80 milioni di dollari sulla testa di Donald Trump. È la cifra che, secondo la Bild, l'Iran è pronto a versare a chi ucciderà il presidente degli Stati Uniti. Il quotidiano tedesco, nella sua edizione online, fa riferimento ad informazioni diffuse dalla tv di stato iraniana: «L'Iran ha 80 milioni di abitanti. Vista la popolazione iraniana, vogliamo raccogliere 80 milioni di dollari, una ricompensa per coloro che possono avvicinarsi al presidente Trump». Per approfondire leggi anche: USA-IRAN, GUERRA SUI SOCIAL Gli annunci sono arrivati nella giornata in cui centinaia di migliaia di iraniani hanno accolto il feretro del comandante delle forze Quds, riportata in Iran dall'Iraq. È arrivato ad Ahvaz, per poi essere spostato a Mashhad e lunedì a Teheran e Qom, per processioni pubbliche, infine a Kerman per la sepoltura. Nelle stesse ore di domenica, il gruppo sciita libanese Hezbollah ha dichiarato che le basi militari Usa, le sue navi e truppe in Medioriente, ora sono un legittimo bersaglio. Un ex comandante dei Pasdaran ha inoltre definito Haifa e Tel Aviv, in Israele, possibili bersagli, e l'alto consigliere della Guida suprema dell'Iran Hossein Dehghan ha rincarato con Cnn: «La risposta sarà certamente militare, contro siti militari», «l'unica cosa che può metter fine a questo periodo di guerra è che l'America riceva un colpo pesante quanto quello inferto». Intanto, in Iraq, il Parlamento ha approvato la risoluzione che chiede la fine della presenza militare straniera, misura mirata all'espulsione dei 5mila militari statunitensi impegnati contro l'Isis. La tensione è altissima nella regione, dopo mesi in cui Teheran e Washington si scambiavano attacchi e minacce. Sabato sera alcuni razzi sono caduti sulla Green zone di Baghdad, sede di uffici e sedi diplomatiche, tra cui quella Usa che era stata assaltata da sostenitori dei paramilitari filoiraniani, di cui 25 erano stati uccisi in raid statunitensi. Trump ha soffiato sul fuoco su Twitter, scrivendo che gli Usa hanno già «nel mirino 52 luoghi iraniani», «alcuni di livello molto alto e importanti per l' Iran e la cultura iraniana». La convenzione dell'Aia del 1954, di cui gli Usa fanno parte, vieta azioni militari contro luoghi culturali, colpibili se assegnati a nuovo uso. L' Iran ospita 24 luoghi patrimonio dell'Unesco. In Europa, l'Alto rappresentante per la politica estera dell'Unione europea, Joseph Borrell, ha parlato al telefono con il ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Zavad Jarif, invitandolo a Bruxelles e chiedendo «moderazione». In Italia, il ministro della Difesa Lorenzo Guerini ha risposto alle polemiche sul ruolo delle basi Usa, «smentendo categoricamente» che ne siano partiti droni usati per il raid contro Soleimani. Analoga smentita dal ministro degli Esteri, Luigi di Maio. Guerini ha anche aggiunto, dopo che la coalizione anti-Isis ha sospeso le proprie attività in Iraq per proteggere i militari dispiegati, che «sarà la coalizione, con tutti i suoi componenti, a determinarne gli sviluppi».

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