Brexit, May ai conservatori: "Mi dimetto se passa accordo con Ue"
La premier britannica si gioca l'ultima carta per evitare l'uscita
Theresa May gioca l'ultima carta. Nel tentativo disperato di salvare il suo accordo con l'Ue sulla Brexit, parlando con i deputati del suo partito conservatore ha messo sul piatto le dimissioni: lascerà la leadership se loro appoggeranno l'intesa. "Sono pronta a lasciare questo incarico prima del previsto per fare ciò che è giusto per il nostro Paese e per il nostro partito", ha detto in una riunione a porte chiuse con i Tory, lanciando poi un appello: "Chiedo a tutti coloro che sono in questa stanza di appoggiare l'accordo in modo che possiamo portare a termine il nostro compito storico - cioè quello di portare a compimento la decisione del popolo britannico e lasciare l'Unione europea con un'uscita ordinata e tranquilla". La promessa di May è giunta nello stesso giorno in cui la Camera dei Comuni non è riuscita a prendere concretamente il controllo del processo della Brexit: i deputati hanno infatti respinto tutte le otto opzioni di piano B alternative all'intesa di May, che andavano dal no deal alla revoca dell'articolo 50 (cioè l'annullamento della Brexit), da un nuovo referendum a una Brexit più soft con unione doganale e allineamento al mercato unico. Un secondo round di voti indicativi potrebbe tenersi lunedì. Le proposte più votate sono state quella per un'uscita dall'Ue con però un'unione doganale e quella per un secondo referendum per sottoporre a voto pubblico qualunque accordo di ritiro: ma nonostante la bocciatura, sottolinea Sky News, queste due opzioni sono riuscite a ottenere più voti di quanti ne abbia mai raccolti l'accordo di divorzio presentato dalla leader Tory. La premier 62enne vorrebbe portare in aula per la terza volta il suo accordo, che è stato già bocciato due volte. Il governo ha fatto sapere che la votazione potrebbe essere organizzata per giovedì o venerdì, ma ha chiarito che rimetterà al voto l'intesa solo se riterrà di avere chance di vincere. L'intervento di May ha già ottenuto qualche risultato: diversi brexiteers, finora contrari all'accordo perché reputato troppo soft, hanno cambiato opinione e lo appoggeranno; fra loro c'è l'ex ministro degli Esteri Boris Johnson. Chi invece è irremovibile è il partito unionista nordirlandese Dup, alleato di governo di May, che ribadisce il suo no: "I primi ministri vanno e vengono" ma le questioni commerciali e costituzionali toccate dall'accordo di ritiro restano, hanno fatto sapere. La promessa di May ai Tory di dimettersi se voteranno a favore del suo accordo "mostra una volta e per tutte che i suoi caotici negoziati sulla Brexit sono stati frutto di una gestione di partito, non di principi o dell'interesse pubblico", ha twittato invece perentorio il leader laburista Jeremy Corbyn. Sulla tempistica dell'eventuale cambio di leadership non c'è chiarezza: May si è limitata a dire che cederebbe il passo a un nuovo leader per guidare la seconda fase dei negoziati sulla Brexit (in riferimento alla prossima fase, che dovrà determinare la natura delle future relazioni Londra-Ue post divorzio). Da fonti di Downing Street, intanto, emerge che l'iter per l'elezione di un nuovo leader Tory, e dunque di un nuovo premier, comincerebbe solo dopo la Brexit, che se i deputati effettivamente approveranno l'accordo di May questa settimana dovrebbe avvenire il 22 maggio. E non è chiaro neanche cosa succederà nel caso in cui l'accordo di May non riuscisse a passare. Ottenendo dall'Ue il rinvio della data di divorzio dal 29 marzo (stasera i deputati hanno cambiato ufficialmente questa data anche nel testo di legge che la contiene), Bruxelles ha fissato per May due scadenze: se riuscirà a far approvare il suo accordo in Parlamento, la Brexit avverrà il 22 maggio; se invece non ci riuscirà, Londra avrà fino al 12 aprile per presentare un'alternativa e chiedere un nuovo rinvio, che implicherebbe la partecipazione alle elezioni europee di maggio. Oppure, ci sarà un'uscita senza accordo, cioè si concretizzerebbe lo scenario di no deal.