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Maduro pronto al dialogo: "Sì elezioni ma non presidenziali"

Silvia Sfregola

Stretto nella morsa di un pressing crescente da parte degli Stati Uniti, il presidente in carica del Venezuela Nicolas Maduro è passato all'attacco dell'oppositore Juan Guaido, autoproclamatosi presidente la scorsa settimana. All'indomani delle sanzioni imposte dagli Usa sul petrolio di Caracas, la procura generale del Venezuela - reputata vicina a Maduro - ha chiesto di vietare a Guaido di lasciare il Paese e di congelare i suoi conti correnti. Un'offensiva sulla quale dovrà pronunciarsi la Corte suprema, motivata con l'apertura di "un'indagine preliminare" su Guaido, per cui le misure sarebbero una "precauzione". Contro le sanzioni Usa, Russia e Cina fanno quadrato intorno a Maduro. Il Cremlino ha bollato le misure definendole "illegali": la Russia ha investito miliardi di dollari in idrocarburi e armi in Venezuela. E anche Pechino, principale creditore di Caracas, si è detta "contraria" a queste sanzioni, affermando che "porteranno a un peggioramento della vita della popolazione". Una minaccia che non ha fatto arretrare gli Stati Uniti, che da subito hanno riconosciuto Guaido presidente: il segretario al Tesoro, Steven Mnuchin, ha annunciato che Washington valuta addirittura sanzioni supplementari; e gli Usa hanno anche comunicato di avere dato formalmente a Guaido il controllo dei conti bancari del Venezuela negli Stati Uniti. Oggi il presidente del Venezuela, in un'intervista rilasciata a Caracas all'agenzia di stampa russa Ria, pur dicendosi favorevole all'ipotesi di elezioni legislative anticipate, si oppone alla possibilità di tenere nuove elezioni presidenziali. "Le elezioni presidenziali in Venezuela si sono tenute meno di un anno fa, 10 mesi fa", ha dichiarato sottolineando: "Non accettiamo gli ultimatum di persone nel mondo, non accettiamo il ricatto. Le elezioni presidenziali in Venezuela ci sono state e se gli imperialisti vogliono nuove elezioni, che aspettino fino al 2025", ha aggiunto il presidente socialista erede politico di Hugo Chavez. Nell'intervista, Maduro ha sottolineato che il cruciale appoggio dell'esercito: "Sto svolgendo i miei doveri di comandante in capo in base alla Costituzione, consolidando le forze armate bolivariane" e "le forze armate bolivariane stanno dando una lezione di etica, lealtà e disciplina", ha detto. Maduro è al potere dal 2013, cioè da dopo la morte di Hugo Chavez, ma la sua rielezione a maggio del 2018 è stata definita illegittima da Unione europea, Stati Uniti e dall'Organizzazione degli Stati americani (Oas). La scorsa settimana il Venezuela è piombato in una crisi politica dopo che il leader dell'opposizione Juan Guaido si è autoproclamato presidente ad interim ed è stato subito riconosciuto dagli Stati Uniti. Gli Usa, insieme al Canada e a una decina di Paesi dell'America Latina, hanno riconosciuto Guaido, mentre Cina e Russia - che sono i due principali creditori di Caracas - hanno invitato a non interferire, schierandosi con Maduro come la Turchia e Cuba. Intanto nell'ambito delle mosse Usa, è giallo sull'ipotesi di un dispiegamento militare in Colombia. Tutto origina da un appunto che John Bolton, consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, aveva in cima al suo taccuino durante una conferenza stampa tenuta lunedì, appunto che recitava "5mila soldati in Colombia", Paese al confine con il Venezuela. Interrogato a più riprese su questa ipotesi, il capo ad interim del Pentagono Patrick Shanahan si è rifiutato di confermare: "Non farò alcun commento su questo", ha detto, dicendo di non averne discusso con Bolton. Mentre l'Onu ha diffuso un nuovo bilancio, di oltre 40 morti e 850 arrestati in una settimana di proteste anti-Maduro, gli Usa hanno avvertito i cittadini statunitensi di evitare i viaggi in Venezuela per motivi di sicurezza, citando come motivazioni i rischi di crimini e arresti nonché la limitata capacità dell'ambasciata Usa di fornire assistenza in conseguenza del richiamo del personale diplomatico non essenziale. Alla vigilia di nuove manifestazioni dell'opposizione indette da Guaido per mercoledì e sabato, con Maduro - oltre a Russia e Cina - ci sono Corea del Nord, Turchia e Cuba. Ma sempre più voci si raccolgono intorno al 35enne volto nuovo dell'opposizione: sei Paesi Ue (Spagna, Francia, Germania, Regno Unito, Portogallo e Olanda) hanno dato al presidente socialista un ultimatum in base al quale o convocherà elezioni entro domenica oppure riconosceranno l'oppositore come presidente. Guaido cerca l'appoggio dei militari, che finora hanno mantenuto la lealtà a Maduro: ha offerto loro l'amnistia nel caso in cui decidano di voltare le spalle al capo dello Stato; e nel convocare le proteste ha chiesto ai manifestanti di tornare in strada mercoledì "per esigere dalle forze armate che si mettano dalla parte del popolo" e poi sabato "per accompagnare il sostegno dell'Unione europea e l'ultimatum".