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Vincono i conservatori ma non c'è maggioranza assoluta

Katia Perrini
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Era una vittoria del Partito Conservatore il risultato che ci si attendeva dal voto britannico, e come nelle previsioni, è stato appunto lo schieramento guidato dal primo ministro Theresa May ad aggiudicarsi la maggioranza delle preferenze. Difficilmente, tuttavia, il calice poteva essere più amaro per il partito uscito vincente dalle elezioni, indette a sorpresa da May con circa tre anni di anticipo rispetto alla data del 2020. La leader dei «Tories» si aspettava un successo schiacciante, nell'obiettivo di consolidare la sua posizione in vista delle negoziazioni per l'uscita dalla UE. Alla luce dei risultati, quel successo importante atteso alla vigilia non è però arrivato; il Partito Conservatore ha infatti perso la maggioranza assoluta, uscendo così addirittura indebolito, e la Gran Bretagna si è risvegliata un'altra volta divisa e nell'incertezza. May ha quindi perso la sua personale scommessa. Per evitare una situazione di "hang parliament", cioè un parlamento appeso, e garantire la governabilità del paese, i Conservatori sono quindi chiamati a stringere alleanze, non avendo raggiunto i 326 seggi necessari per guidare da soli. I «Tories» sono attestati a 318 seggi (mancano ancora i risultati del collegio di Kensington), il che significa 12 seggi in meno rispetto a quelli avuti fino a ieri. Molti avevano visto le elezioni anticipate come una scelta puramente politica, dettata dalla convinzione della May di potersi facilmente sbarazzare del Partito Laburista. I sondaggi davano gli avversari quasi ai minimi storici, dilaniati da una guerra fratricida tra la corrente moderata e quella più orientata a sinistra e fedele al leader del partito Jeremy Corbyn. Sono bastati meno di due mesi perché i conservatori dilapidassero però per strada molti dei loro consensi.  Non è chiaro quanto gli episodi di terrorismo che hanno colpito recentemente il paese possano aver influito sull'orientamento dell'elettorato, di certo non sembrano avere aiutato la causa della May, accusata dagli avversari di aver avallato il taglio di 20.000 agenti di polizia al tempo in cui ricopriva la carica di Home Secretary. Il suo rivale Jeremy Corbyn, spesso etichettato come un socialista stile anni '70 dalle visioni un po' retrograde, è andato avanti per la sua strada, anche contro gli stessi esponenti del suo partito, riuscendo a riempire le piazze come non succedeva da anni, e accaparrandosi le simpatie dei giovani che si sono presentati in massa all'appuntameno con le urne (per la fascia 18-25 anni, ha votato il 72% degli aventi diritto). Non era affatto nelle previsioni una vittoria del Partito Laburista, e vittoria non è stata, ma se c'è qualcuno che può esultare per il verdetto delle urne, quel qualcuno è proprio l'anticapitalista e pacifista Jeremy Corbyn. Il suo schieramento si è aggiudicato 261 seggi, ovvero 29 in più di quelli che deteneva, rovesciando una tendenza che aveva visto i «Labours» perdere inesorabilmente poltrone in parlamento dai tempi della prima vittoria di Tony Blair nel 1997. E già a qualche ora di distanza dalle proiezioni exit poll, Jeremy Corbyn ha chiesto le dimissioni di Theresa May dal ruolo che ricopre, parlando di «incredibile risultato» per il suo partito. Il primo ministro in carica cercava stabilità, invocando un mandato forte da parte degli elettori, nell'obiettivo di proseguire dritti sulla strada dell'hard Brexit. Da subito è comunque parso chiaro come non fosse nelle intenzioni della May quella di lasciare la sua posizione. Il primo ministro, dopo aver incontrato la regina a Buckingham Palace, ha promesso un governo in grado di assicurare «certezze» perché «i voti che abbiamo ottenuto ci danno stabilità», ha detto parlando a Downing Street dopo avere ricevuto l'incarico per formare un nuovo esecutivo. «Governerò per i prossimi anni. Rispetterò la promessa della Brexit decisa dal popolo. Formerò un nuovo governo per attuare la Brexit e mantenere il Paese sicuro», ha aggiunto, sottolineando che «solo i conservatori hanno il diritto di formare il governo». Il piano della May è di formare un'alleanza con i nordirlandesi del Democratic Unionist Party, che hanno conquistato 10 seggi in parlamento. Il futuro appare invece segnato da dubbi, specie relativamente alla linea che la Gran Bretagna andrà ad adottare nelle negoziazioni con l'Europa ormai alle porte, ed i mercati hanno subito reagito facendo scendere sensibilmente il valore della sterlina rispetto al Dollaro americano e all'Euro. Per quanto riguarda invece il risultato degli altri partiti politici, deludente è stato il verdetto per lo Scottish National Party di Nicola Sturgeon, che ha ottenuto 35 seggi, quindi 21 in meno di quelli che deteneva. Si allontana quindi la possibilità di un secondo referendum sull'indipendenza scozzese. Modesta la crescita del Partito Liberal Democratico, che nonostante la sua strategia contro un Brexit duro, ha guadagnato solo 4 seggi in più rispetto al passato (12 in totale). Esce invece dalla scena il Partito Ukip, che come da previsione, paga il prezzo di aver condotto una campagna politica sottotono dopo le dimissioni del leader Nigel Farage una volta raggiunto l'obiettivo del Brexit, non ottenendo stavolta nessun seggio. Preso atto del deludente risultato, l'attuale numero uno Paul Nuttal ha già deciso di seguire l'esempio del suo predecessore.

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