il manager

Tomaso Veneroso: "Ho vissuto ogni tipo di recessione. Il vero made in Italy non arretra mai"

Tomaso Veneroso

Da oltre vent’anni vivo negli Stati Uniti, dove rappresento il gruppo FAR – Fonderie Acciaierie Roiale, Garavaglia, Am Cast USA e Canada – leader italiano nella produzione di ricambi per la comminuzione, ovvero la frantumazione e raffinazione dei materiali per l’industria mineraria e delle cave. È un settore di nicchia, ma strategico. E noi lo affrontiamo con autentico Made in Italy: materiali innovativi, tecnologie avanzate, e una qualità che non teme confronti. Viaggio per il mondo dal 1999. Da allora ho vissuto ogni fase dell’economia globale: l’introduzione dell’euro, l’11 settembre, crisi immobiliari, crolli valutari, riprese e recessioni. Ho visto l’ascesa della Cina con prodotti inferiori, ma a prezzi del 60% più bassi, in un mercato che spesso premia il “cheap” a scapito del valore. Eppure, in tutto questo tempo non ho mai smesso di credere nel prodotto italiano. Non solo per orgoglio, ma perché funziona. Funziona davvero.

 

  

In queste settimane si torna a parlare – forse troppo – di “tariffe Trump”, tra analisi opposte e commenti infiniti. Ma in fondo, due sono le categorie che pagano sempre il conto: i consumatori e le imprese. A noi imprenditori italiani della meccanica pesante ricordo però una verità semplice: per il vero Made in Italy, c’è sempre spazio. Il nostro obiettivo non è competere. È dominare il mercato, con innovazione, durata, competenza. Quando sei leader, i dazi sono solo rumore di fondo. Eppure, c’è un paradosso che non possiamo ignorare: mentre negli Stati Uniti si parla di dazi per difendere la manifattura interna, in Italia siamo letteralmente inondati da materiali cinesi, spesso di bassa qualità, che entrano senza alcuna barriera doganale.

 

Il risultato? Molte aziende italiane che producono autentico Made in Italy non riescono nemmeno a servire il proprio territorio. Una contraddizione che mina alla base il concetto stesso di sovranità industriale. Negli ultimi decenni, l’Italia (e l’Occidente) ha delocalizzato troppo e male, attratta dai bassi costi cinesi. Abbiamo svenduto distretti, perso competenze. Le tariffe imposte da Trump sono state una risposta dura, ma lucida: rilanciare la manifattura, ridurre la dipendenza da un rivale strategico. Oggi anche in Europa si parla di reshoring e sovranità industriale. Forse quei dazi sono serviti. Forse sono stati un segnale.
Il mio messaggio è semplice: continuiamo a investire, innovare, crederci. Il futuro appartiene a chi non si ferma. E l’Italia, quella vera, non si è mai fermata. *Amministratore Delegato per le Americhe di Am Cast Inc – FAR Group.