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Il faro di Consob sul dossier Tim

Luigi Bisignani

Caro direttore, «mi manda Picone», così diceva Giancarlo Giannini nell’indimenticabile commedia del 1984 del geniale regista Nanni Loy. Nel 2023, nei palazzi del potere, la battuta è ripresa da molti che scherzando citano, «mi manda Caputi», alludendo maliziosamente e forse anche a sproposito, al diligente capo di gabinetto della presidenza del Consiglio Gaetano Caputi, già un tempo rigoroso direttore generale della Consob, la Commissione Nazionale di Controllo delle Società e della Borsa.

E il colmo vuole che proprio la stessa Consob abbia richiesto a Tim le carte dell’ultima riunione del Consiglio di Amministrazione per far luce su chi abbia suggerito, «ad una parte» dei consiglieri, come comportarsi. Ma a sentire i sussurri sarebbero stati proprio alcuni consiglieri a raccontare di qualche parolina (copyright, nella prima repubblica, di un altro Gaetano, l’indimenticabile segretario generale del Quirinale Gifuni, suggeritore di mille strategie).

  

Spigolature o chiacchiere che siano, da lunedì i commissari Consob hanno deciso di vederci chiaro, anche perché a qualcuno di loro, e sembra pure al presidente Paolo Savona, non va proprio giù che il Consiglio non abbia recepito neppure le determinazioni dell’Assemblea in tema di retribuzione dei manager. A fare ordine in Tim arriverà presto Luciano Carta, ex Aise e Leonardo, accolto con un consenso pressoché unanime dalle Istituzioni. I ripetuti tentativi, soprattutto delle banche d’affari, di coinvolgere nella partita Poste Italiane della coppia Del Fante-Lasco, sono andati a vuoto. Staremo a vedere le mosse della Consob alle prese con questa nuova grana.

La Commissione già da diversi anni si è mostrata spaccata sui dossier più importanti - da Generali a Edison, da Tim a Unicredit - con conseguenti dimissioni a raffica tra commissari e direttori generali. Neanche le lunghe passeggiate a Villa Borghese, la cornice perfetta per le riflessioni più elevate, hanno portato consiglio a Savona, cresciuto all’ombra di Francesco Cossiga, e presidente di una commissione ammaccata in un momento così critico come quello attuale, determinato anche dalle recenti crisi bancarie in America e in Europa.

Chi scalpita un po’ a vuoto per entrarci, probabilmente azzoppato dalla sua estrazione di sinistra, è tale Carmine Di Noia, direttore dell’Ocse dopo la fallita nomina al vertice di Esma, la Consob europea. Alla Consob, val la pena ricordarlo, sono attribuiti poteri di vigilanza su intermediari, mercati ed emittenti a tutela degli investitori, dell’efficienza e della trasparenza del mercato dei capitali e del controllo societario. L’esatto contrario dunque di quanto appena avvenuto nell’ultimo balletto su Tim tanto che, quando esce sui media la notizia che Cdp avrebbe ritirato la propria offerta, il titolo è arrivato a perdere fino al 5%. Il giorno dopo, è stato Dario Scannapieco, ad in uscita di Cdp a smentire la notizia ed ecco che il titolo risale, seppur di poco, per poi tornare a scendere confermando il trend degli ultimi tempi. Un roller coaster.

Niente di ciò sembra però turbare, più di tanto, i sonni di Consob che avrebbe invece ben ragione a intervenire. Innanzitutto per l’evidente conflitto d’interessi di Cdp che è titolare di una partecipazione di maggioranza in Open Fiber, concorrente proprio di Tim sullo sviluppo della rete in fibra. Chi sarà mai il «Picone» di questa disastrata stagione? Alla Consob il compito di scoprirlo. Sono già diversi ministri, da Giancarlo Giorgetti ad Adolfo Urso nonché il volenteroso sottosegretario alle comunicazioni Alessio Butti, che vogliono sapere perché su Tim le nuvole, quelle vere non del cloud, sono sempre più nere ed inquietanti. Speriamo che, almeno questa volta, non si renda necessaria una ventata di Giorgia per spazzarle via.