proteste, chiusure e inflazione

La verità dietro al super Pil: mezza Italia non si è ripresa

Pietro De Leo

La crescita record del 2021, sì. E però anche imprevisti, deviazioni, carichi normativi. Una piccola-grande tempesta perfetta che crea disagio e malcontento in varie categorie economiche e professionali il cui slancio, a due anni dall’inizio della pandemia, è riassumibile così: non ce la facciamo più. Ci sono il caro carburanti, il caro energia, derivanti dall’intreccio tra rivolgimenti geopolitici e transizione verde. C’è la variante Omicron che, per fortuna, ci stiamo buttando alle spalle, ma il combinato disposto tra pandemia e norme di prevenzione (al di là del dettaglio sul loro contenuto) stravolge l’organizzazione delle nostre vite, del lavoro di tutti e di quanti sono impegnati in prima linea per la tutela della salute.

Protestano i medici di base
Ecco allora lo “stato di agitazione” indett da Fp Cgil Medici e dirigenti SSn, Smi, Simet, Federazione C.i.p.e-S.is.Pe- S.I.N.S.Pe, che hanno inviato un documento al Ministero della Salute e Regioni. Nel testo denunciano che: “le piattaforme regionali inefficienti non si interfacciano con il Sistema Tessera Sanitaria e rendono difficoltosa l’attività ordinaria per i pazienti con patologie croniche, oncologiche, cardiache. Malati che hanno difficoltà di accesso al proprio medico perché tutti i canali di contatto sono saturati da centinaia di migliaia di richieste di informazioni procedurali”. E aggiungono: “passiamo il nostro tempo a smaltire scartoffie e non riusciamo a dare risposte ai cittadini”. Poi c’è anche un problema numerico, che ruota attorno “l’assoluta indisponibilità dei medici sostituti negli studi di medicina generale, pediatri di libera scelta, continuità assistenziale e nell’emergenza urgenza territoriale, nonché la difficoltà di reclutamento del personale di studio con conseguente ulteriore sovraccarico di lavoro improprio”. Se non riceveranno risposte dal governo, dicono i medici, non è escluso che si adotti un’iniziativa di sciopero.

  

Infermieri in piazza
Nel frattempo, qualche giorno fa il sindacato degli infermieri Nursid uno sciopero, al netto del personale contingentato, l’ha già indetto. “Dalla pandemia non tutti abbiamo imparato la lezione”, dice la sigla, “altrimenti non saremmo qui a spiegare l’ovvio cioè che siamo strutturalmente sotto organico. Già prima era difficile, ora con il Covid garantire i servizi è diventato quasi impossibile”. Oltre a questo, viene sollevato il problema della “aggressioni fisiche e verbali di cui continuiamo ad essere le principali vittime”.

Lacrime amare sui rincari per carburante ed energia
Il caro carburante è una delle grandi zavorre di questo momento. Il prezzo di un litro di gasolio, per dire, in un anno è balzato da 1,35 a 1,65 euro (+22,3%). Secondo la Cgia, il costo del pieno per un mezzo pesante da 11 tonnellate è cresciuto di circa 150 euro, ciò vuol significa circa 8600 euro in un anno in più da sborsare. E così Conftrasporto, con il volto del suo presidente Paolo Uggè, ieri denunciava “un bollettino di guerra” per il comparto. “Ogni aumento del 10%” dei carburanti  “ha un impatto di circa tre punti percentuali sui costi dell’impresa”. E non solo. Questo rincaro fa patire lacrime amare anche al settore della pesca. A questo proposito, Coldiretti osserva che nella situazione attuale “le imbarcazioni sono costrette a pescare in perdita se non addirittura a restare in banchina con gravi ripercussioni sulla filiera e sull'occupazione per un settore che conta complessivamente 12mila imprese e 28mila lavoratori, con un vasto indotto collegato". E sempre Coldiretti, poi, accende un faro sui vari settori di propria competenza (in aggiunta a quelli che, nel corso dei mesi, hanno lanciato sonore grida dall’arme) fiaccati dalle impennate del caro bollette. Parliamo di numeri, innanzitutto: dal primo gennaio gli incrementi si sono attestati sul 55% per l’elettricità e sul 42% per il gas. Così l’associazione d’impresa spiega che questa impennata: “anche le serre e mette a rischio il futuro di alcune delle produzioni più tipiche del florovivaismo nazionale come tra gli altri il ciclamino, il lilium o il ranuncolo" - rileva la Coldiretti. "E se in altri settori si cerca di concentrare le operazioni colturali nelle ore di minor costo dell'energia elettrica - prosegue -, le imprese florovivaistiche non possono interrompere le attività pena la morte delle piante o la mancata fioritura”. Non solo. Con questo trend si potranno avere gravi ripercussioni anche per la filiera di pasta, olio extravergine di oliva (con un aumento medio di costi che si aggira sul 12%), sughi e polpe. Insomma, una botta pesantissima per tutto il settore dell’agroalimentare.

I contraccolpi delle norme
E poi c’è il tema delle regole. Ieri, Fipe-Confcommercio, l’associazione che raccoglie le imprese della somministrazione al pubblico, ha affermato: “viviamo una complessa burocrazia sanitaria che sta togliendo agli italiani la voglia di socialità. E questo avviene nonostante la stragrande maggioranza delle persone, tra vaccinati e guariti, sia oramai protetta contro le forme gravi della malattia”. Per questo la sigla chiede “un intervento di razionalizzazione e semplificazione delle norme per restituire fiducia e ridare una prospettiva alle nostre città che, in molti casi, stanno vivendo un lockdown di fatto. Tra le categorie d’impresa più colpite dalle limitazioni c’è, come noto, quella delle discoteche. E così, per esempio, la Silb, associazione del settore, ha rivendicato che vengano al più presto introdotte le disposizioni attuative per l’accesso agli aiuti.

Le imprese e il pericolo stretta creditizia
A dicembre è scaduta la moratoria sui prestiti bancari, introdotta dal decreto Cura Italia risalente al 2020, che aveva permesso di congelare le rate dei vecchi crediti. Un emendamento al Milleproroghe mira a posticipare la scadenza a giugno. Secondo Unimpresa, però, per quanto sia un buon passo, non è sufficiente. “Abbiamo già chiesto che tutti i provvedimenti sulle garanzie statali per i finanziamenti siano allungati sine die sino al termine della pandemia”. L’associazione, infatti, paventa un aggravamento dello scenario economico con, di conseguenza, difficoltà per le aziende “sul fronte dei rimborsi dei prestiti erogati dagli istituti di credito”.  Il pericolo che corriamo è pesantissimo: “restano a rischio insolvenza 700mila aziende con un crac, in prospettiva, da oltre 27 miliardi di euro”.