l'anniversario

Brutte notizie per i grillini: a due anni dall'abolizione la povertà sta benissimo

Riccardo Mazzoni

“Abbiamo abolito la povertà, noi siamo il vero cambiamento”. Due anni fa, in una serata di fine settembre, l’allora vicepremier Di Maio si affacciò trionfante dal balcone di Palazzo Chigi - insieme a tutti gli altri ministri grillini - per festeggiare il via libera alla manovra che consentiva di rendere operativo il reddito di cittadinanza, con una copertura di 8-10 miliardi. Una misura che alla prova dei fatti si è rivelata la più grande operazione clientelare nella storia della Repubblica, non ha abolito la povertà e fatto piovere invece denaro su boss mafiosi, ex terroristi, truffatori e su ogni risma di furbetti da divano. Ora perfino Conte si è accorto che il sussidio grillino partorito dal genio di Tridico “rischia di essere una misura assistenziale senza progettualità”, e pretende una soluzione entro sei mesi per rendere operative le leggendarie politiche attive per il lavoro che con l’Anpal dei navigator non sono mai partite.

In effetti il reddito di cittadinanza, oltre che un disincentivo a trovarsi un lavoro regolare e un formidabile incentivo a procacciarsene uno in nero, ha fallito proprio il suo obiettivo prioritario, quello assistenziale, visto che ha raggiunto 2,8 milioni di persone, un numero decisamente inferiore rispetto ai 4,6 milioni di italiani in povertà assoluta certificati dall’Istat. Non solo: la forbice tra i single che hanno percepito il reddito e le famiglie numerose è stata ancora più ampia, con il 39,7 per cento dei nuclei coinvolti composto da una sola persona, mentre meno del 10% da 5 o più componenti. Di conseguenza, il 31,2 per cento delle risorse è stato destinato ai single, mentre solo il 12,3 per cento alle famiglie numerose. Un sussidio ingiusto, strabico e squilibrato, insomma, su cui è peraltro mancata qualsiasi forma di controllo, e che Tridico ha cercato inutilmente di difendere anche con la diffusione di dati a dir poco fuorvianti: a fine 2019, sulle orme dell’annuncio del suo personale navigator, Di Maio, il presidente dell’Inps infatti sostenne che grazie al reddito di cittadinanza la povertà assoluta era stata ridotta del 60 per cento: una cifra che però non trovava riscontro neanche nelle previsioni ufficiali dell’Inps.

  

Poi ci ha pensato l’Istat a mettere una pietra tombale sulla propaganda Tridico-grillina: la povertà assoluta nel 2019 è diminuita solo del 9 per cento, che è pur sempre qualcosa, ma non cancella certo le ombre su un sussidio che, secondo le stime di Unimpresa, nel triennio 2020-2022 costerà alle casse dello Stato quasi 26 miliardi di euro e che, invece di abolire la povertà, ha aumentato il lavoro nero.

A completare questo quadro a tinte fosche c'è poi il totale fallimento dell'Anpal guidato dal superpagato trasvolatore atlantico Parisi, dei navigator in smart-working che hanno percepito il sussidio extra di 600 euro durante il lockdown, e dall’ultima beffa appena ammessa dall’Inps: a partire da questo settembre, secondo quanto previsto dal decreto attuativo pubblicato a giugno, il reddito di cittadinanza sarebbe dovuto essere tagliato fino a un massimo del 20% per tutti coloro che non hanno speso interamente l’importo del sussidio durante il mese precedente. L’Inps però – che novità! - ha sbagliato ad applicare il calcolo dei tagli sugli importi, e per questo ha comunicato che il nuovo taglio partirà solo da ottobre. Un dettaglio che è la ciliegina avvelenata su un provvedimento ideologico crollato sotto il peso della realtà, che ha demolito la cultura del lavoro e lanciato ai giovani il messaggio che si può guadagnare di più stando a casa che cercandosi un lavoro. Ma non illudiamoci che questa maggioranza possa davvero cambiare rotta: basta ascoltare il suo comico ideologo che invoca continuamente il reddito universale per “liberarsi dal ricatto del lavoro”.