Fiat in Serbia. Il governo dice no

La politica italiana ci mette tempo a capire cosa comporterà per il sistema Italia l'ultima mossa dell'ad di Fiat, Sergio Marchionne. Solo nel tardo pomeriggio di ieri sono arrivate infatti le reazioni del governo contro il trasferimento, ventilato dal Lingotto di una parte della produzione (la monovolume Lo) dallo stabilimento di Mirafiori a quello in Serbia. Un tempo entro il quale però la Borsa ha detto invece sì al disegno strategico dell'ad dell'azienda torinese che punta a rendere la Fiat sempre più internazionalizzata e più redditizia. Così mentre il titolo a Piazza Affari chiudeva in rialzo del 2,12% a 9,87 euro (tra scambi intensi e per 37,5 milioni di azioni, pari a circa il 3,4% del capitale) il velato dissenso alla politica di Marchionne, dopo quello del leader del Pd Bersani, è arrivato dal ministro del Lavoro Sacconi che ha detto: «Credo che si debba quanto prima riaprire un tavolo tra le parti per discutere l'insieme del progetto Fabbrica Italia, cioè quel progetto che vuole realizzare investimenti nel nostro Paese se accompagnati da una piena autorizzazione degli impianti secondo il modello già concordato a Pomigliano». L'invito è quello di mettersi al tavolino e di discutere prima di lanciare annunci che mettono in fibrillazione il sistema delle relazioni industriali in Italia. Al responsabile del welfare si è affiancato anche il ministro delle Politiche Comunitarie Andrea Ronchi che ha preferito considerare l'intenzione di Marchionne più una provocazione. «Una boutade estiva o a un modo per forzare la mano. Per questo non mi sembra il caso di prenderla davvero in considerazione» ha aggiunto Ronchi che ha immediatamente fatto presente che se l'ipotesi «si dovesse concretizzarsi, la nostra opposizione sarebbe fermissima». Più duro il ministo leghista Calederoli: «La Fiat in Serbia? L'ipotesi ventilata da Marchionne non sta nè in cielo nè in terra». La Lega si prepara insomma fare le barricate. «Non si può pensare - conclude il ministro - di sedersi a tavola, mangiare con gli incentivi per l'auto e gli aiuti di Stato e poi alzarsi e andarsene senza nemmeno aver pagato il conto».