L'atomo rilancia la scienza made in Italy

L'Italia è l'unico grande paese europeo privo di energia nucleare. Se si allarga lo sguardo al mondo industrializzato, il risultato non cambia: nelle statistiche, difficilmente l'occhio non viene attirato dalla colonnina dedicata all'Italia. Che dice: zero. Quando la differenza tra le scelte di un soggetto e quelle di, virtualmente, tutti gli altri è così clamorosa, bisogna interrogarsi sulle ragioni. E questa domanda è tanto più importante in una nazione che non solo ha dato i natali a Enrico Fermi e agli altri padri dell'atomo, ma - fino al referendum del 1987 - è stata tra i protagonisti della ricerca e dell'impiego commerciale di questa tecnologia. Il contrasto tra il passato e il presente non potrebbe essere più stridente: fino agli anni Ottanta, eravamo un paese d'avanguardia. Poi, improvvisamente, più nulla: anzi, indietro tutta. La passione con cui, durante la fase eroica dell'atomo italiano, l'intero Paese guardava al nucleare trova testimonianza nei dettagli di vita vissuta, come Atomino, il personaggio positivo e fiducioso nelle potenzialità del progresso che intratteneva i bambini dalle pagine del Pioniere, supplemento settimanale per ragazzi che veniva distribuito negli anni Settanta con l'Unità. O dal fatto che diverse acque minerali si facevano vanto, nelle etichette sulle bottiglie, di vendere un liquido «leggermente radioattivo». È quasi un contrappasso, il successivo proliferare di «comuni denuclearizzati». Ma non c'è solo nostalgia, nel fronte pro-atomo. C'è la consapevolezza che, proprio nel momento in cui l'attenzione per questa tecnologia torna prepotentemente d'attualità in tutto il mondo, dall'Europa agli Usa alle grandi economie emergenti, tagliarsene fuori significa perdere un'altra occasione per essere tecnologicamente avanzati. Anche sul piano più strettamente energetico, il ritorno al nucleare - promesso dal governo e, oggi, apparentemente passato in secondo piano con le dimissioni di Claudio Scajola - nasconde una serie di vantaggi che, altrimenti, non potrebbero essere colti. Dal punto di vista economico-finanziario, l'atomo ha la caratteristica di avere alti costi fissi e bassi costi variabili, come le rinnovabili e al contrario del gas: questo ne fa uno strumento importante di stabilizzazione dei prezzi elettrici nel tempo. Sotto il profilo ambientale, l'atomo è probabilmente la più competitiva tra le fonti a basso e nullo tasso di emissioni, e - a differenza di eolico e solare - non dipende dalla volubilità atmosferica ma può erogare energia con continuità per tutto l'anno. Infine, tornare al nucleare significa rimettere in moto una filiera tecnologica mai del tutto abbandonata, ma mai più perseguita con determinazione dai tempi del referendum. Si tratta, dunque, di una formidabile occasione di riqualificazione industriale, con ricadute pure sulla pubblica amministrazione e la sua organizzazione. Gestire il nucleare, per chi ha il ruolo del regolatore e deve sorvegliare sulla correttezza delle operazioni, significa affrontare una sfida importante. Richiede, cioè, di riscoprire la capacità di gestire sistemi complessi, una capacità che il nostro paese sembra aver perso. Il ritorno all'atomo può essere, anche simbolicamente, quella discontinuità di cui l'Italia ha bisogno per pensare a se stessa come a una importante economia industriale. Implicitamente, il nucleare è la punta di diamante di un necessario processo di riscoperta delle radici capitalistiche e industriali della nostra economia. Saremo capaci?