Coldiretti: guerra 15-18 per la Centrale del Latte

Una delle grandi realtà economiche e produttive del Lazio è il settore agroalimentare: rappresenta quasi il 17% del pil della regione. Il «made in Italy» agroalimentare è la prima voce di export del Paese, prima della moda, prima del mobile. Gli imprenditori del settore agricolo e alimentare si candidano, nel Lazio, con le produzioni DOC, DOP, IGT ad essere i protagonisti non di una semplice agricoltura, ma come soggetti produttori delle eccellenze, che comunicano queste eccellenze al mondo. Spiegano gli obiettivi della Coldiretti il presidente Massimo Gargano e il direttore Aldo Mattia.   Presidente Massimo Gargano quante aziende ci sono nel Lazio? «Noi abbiamo 32mila imprese socie, come Coldiretti, imprese che hanno partita Iva e che versano contributi. Il connotato è che nel Lazio, più che nel resto d’Italia, tutto questo è caratterizzato dall’essere piccola e media impresa. Il nostro obiettivo è di creare un consorzio agrario del Lazio con una logica economica per realizzare economie di scala e fornire ricerca, assistenza, mezzi tecnici al mondo della produzione contenendo al massimo i costi». Mentre il territorio si spappola negli enti locali voi state conducendo un’opera di accentramento? «Mi sembra un’intuizione per dare un valore aggiunto alle nostre imprese. Come Coldiretti abbiamo deciso di creare una nuova centrale, Unci-Coldiretti, e stiamo chiamando tutto il mondo della cooperazione ad aggregarsi, perché noi abbiamo un progetto, la vendita diretta. Lo dimostriamo con i nostri mercati di Campagna Amica, oggi nel Lazio ce ne sono ben 33. Da 30 produttori siamo passati a 300 imprenditori agricoli che adesso forniscono la materia prima nei nostri mercati contadini di Campagna Amica». C’è un nemico o un partner nella grande distribuzione? «Ci siamo fatti dei nemici. Ma anche dei partner. Per esempio come Coldiretti abbiamo avviato una collaborazione stretta con Gross, che è un gruppo che ha sul territorio romano 130 punti vendita, e lì dentro ci sono i prodotti della Campagna Amica». Di quanto riuscite ad abbattere i costi della filiera in questo modo? «Vendiamo il latte a Campagna Amica del Circo Massimo: un litro un euro. Mediamente sta a un euro e sessanta. Abbiamo poi, sempre in questi mercati, sull’ortofrutta, grazie a un accordo con Isme e con l’associazione dei consumatori, un sistema che rileva i prezzi. Dobbiamo essere il 30% inferiori di quei prezzi». «Oltre ad esserci l’aspetto del valore aggiunto dell’imprenditore agricolo - interviene Aldo Mattia - e il risparmio del 30% del consumatore, c’è un nuovo rapporto per cui si evidenzia un incontro tra cittadino consumatore e imprenditore agricolo per cui il consumatore comprende la territorialità. Tutto questo ora lo vogliamo rendere organizzato». Si parlava del latte sul territorio. Come va l’iniziativa dei distributori automatici? «L’iniziativa va bene - riprende il presidente Gargano - ne abbiamo sempre di più, ma è infinitesimale rispetto al consumo. La definirei simbolica. Dico però che è graditissima».   Ci sono anche le istruzioni per l’uso «Noi lo evidenziamo - aggiunge Mattia - Il latte che viene messo nelle macchinette così come viene munto deve essere bollito. Abbiamo lanciato una vertenza latte: nonostante nel Lazio il prezzo del latte alla stalla sia il prezzo più alto d’Italia, noi abbiamo assistito a un’azione monopolista e arbitraria della Centrale del Latte che ha costretto le cooperative a sottoscrivere un accordo sui prezzi del latte alla produzione di un centesimo e settanta meno dell’anno scorso. Non si riesce a coprire i costi di produzione. Il 15 maggio faremo una conferenza stampa al Circo Massimo dove lanceremo la "guerra del latte 15-18", il 18 con duemila imprenditori agricoli saremo davanti i cancelli della Centrale del Latte a protestare contro questo stato di disagio».   Fino a dove volete arrivare? «Arriviamo - prosegue il presidente Gargano - fino all’inversione di marcia su questi temi. Siamo pronti ad investire con le istituzioni, Comune in primis, in quanto proprietario di una quota che supera il 6% della Centrale, ma anche con la Provincia e con la Regione, che hanno delle quote minoritarie. Siamo disposti ad acquistarla questa Centrale del Latte di Roma, per farne anche una partita economica di trasparenza, nei confronti dei consumatori. Riteniamo che partner in questa proposta di acquisto siano sicuramente le istituzioni». Quant’è l’investimento ipotizzato? «L’investimento ipotizzato non c’è, perché ad oggi la Centrale del Latte di Roma, con un atteggiamento io direi assolutamente arrogante, non ha mai voluto parlare né con gli allevatori, tranne con quelli che ha in consiglio, ma sostanzialmente quella è una presenza ostaggio, né con le istituzioni. Noi andiamo incontro a una desertificazione imprenditoriale e a una modifica degli aspetti paesaggistici della campagna romana. Trasformarla in un enorme pannello solare oggi non risolve i problemi».   Ma il Comune e la Regione come rispondono? «Hanno risposto rendendosi disponibili, però oggi devono fare un passo avanti. Noi abbiamo eletto questa Regione per governare, non per litigare». Quanto occorre per comprare la Centrale del Latte? «Questo non si sa - risponde Mattia - Abbiamo fatto un ragionamento inverso. Qualche mese fa la Centrale del Latte ha tentato di comprare le quote di proprietà dei produttori riuniti una società che si chiama Finlatte che possiede circa il 17% delle quote. Gli hanno fatto un’offerta che va intorno ai 23 milioni di euro, per cui bisognerebbe stimare il cento per cento delle quote, verrebbe fuori l’importo: cento milioni. Però per controllare una società basta il 51%». Avete già incontrato il neo assessore Battistoni e avete presentato un decalogo di richieste? «Lo abbiamo presentato prima della campagna elettorale alla Polverini - riprende il presidente - poi al neo assessore Battistoni. Noi dobbiamo puntare su una serie di valori possibili: i valori ambientali, il mare e la montagna, i valori culturali, il nostro patrimonio archeologico, artistico e letterario, i valori enogastronomici, tradizionali. Anche Roma è un valore aggiunto in Italia e nel mondo, e allora è chiaro che i valori vincenti diventano quelli del territorio. Chiediamo alla Regione di fare una scelta. Perché intorno a questo dobbiamo costruire flussi economici, flussi turistici, flussi alberghieri. L’agricoltura in questo è l’elemento in grado di fare la differenza. Noi siamo in grado di offrire queste eccellenze e renderle riconoscibili, non appaltarle alla grande distribuzione che ci toglie l’identità. C’è un "made in Lazio" che è in grado di creare un modello».   Nel Lazio abbiamo molti parchi naturali. Con questa nuova amministrazione regionale c’è la volontà per far realizzare i piano d’assetto dei parchi? «Credo molto nei parchi. Credo che siano un valore aggiunto. Purtroppo essendo stati gestiti come la foresta amazzonica dove la presenza dell’uomo non è gradita, i parchi sono diventati una centrale di burocrazia per cui io nei Castelli Romani, se devo far diventare una porta una finestra, devo chiedere il permesso al parco, devo mettere in moto il geometra, l’architetto, il genio civile, il consiglio di amministrazione del parco». «Le opportunità - interviene Mattia - per far sviluppare questi ragionamenti la Regione ce l’ha, anche dal punto di vista del sostegno finanziario. Parliamo del Piano di Sviluppo Rurale. Se entro il novembre del 2010 la Regione non si sbriga a tirar fuori 60 milioni di euro, questi soldi ritornano alla Comunità europea che li distribuirà ad altri Paesi. Noi abbiamo iniziato per questo una vertenza sindacale, attaccando la passata giunta per non aver avuto la capacità di spendere i soldi che aveva a disposizione. Abbiamo chiesto all’assessore di portare avanti il nostro decalogo, ma la prima cosa è spendere questi soldi». «Non a caso nel decalogo parliamo di "parco agricolo" - riprende il presidente - perché i parchi ci piacciono e sono un valore aggiunto. Un altro argomento del decalogo che mi sta a cuore sono i consorzi di bonifica. In questo territorio ne abbiamo 10, governano 16.500 km di canali e danno l’acqua a oltre 100mila ettari di terra che dà i prodotti più belli. La Regione deve rimette al centro del percorso di sviluppo questi consorzi di bonifica. L’altra grande attività di questi consorzi è la difesa del suolo. Non possiamo parlare di difesa del territorio solo quando ci sono le catastrofi naturali. Nella passata legislatura i consorzi di bonifica non sono stati oggetto di interlocuzione. Se chiudono i consorzi di bonifica l’Italia va sott’acqua».   Il vostro rapporto con il mondo bancario è migliorato o peggiorato rispetto all’annus horribilis 2008? «Secondo me - spiega Mattia - è cambiato in meglio, non per volontà delle banche, ma delle organizzazioni. Abbiamo creato i consorzi Fidi, abbiamo fortificato la nostra struttura per creare un percorso agevolato verso il credito, nel nostro caso credito agrario, e andiamo a condividere il rischio delle banche. Così la banca può dare credito perché a condividere il rischio c’è anche l’imprenditore».   Hanno chiuso molte imprese? «In agricoltura un po' di meno delle altre. È difficile che l’impresa agricola fallisca, o meglio dal punto di vista giuridico l’impresa agricola non può fallire. Però ovviamente c’è grande sofferenza e il debito agricolo è aumentato moltissimo». Ci sono giovani che vogliono intraprendere la carriera? «Sì nel Lazio nel 2009 abbiamo registrato un dato positivo, 600 giovani imprenditori di nuovo insediamento. In parte c’è anche la cessazione di attività di un familiare, in parte c’è acquisizione di terreno, in parte è gestione legata ad affitti di propri terreni». Ci sono agevolazioni per i giovani? «C’è un premio di insediamento adeguato, di 40mila euro, però quello chiaramente serve per avviare. Al contrario del passato, però, c’è una positività. Mentre prima si dava il premio di primo insediamento e non c’era un controllo sul reale impiego di questi soldi, adesso c’è bisogno di un "business plan" e c’è un controllo adeguato su quelli che sono gli stati di avanzamento, i fondi si possono richiedere dal Piano di Sviluppo Rurale. Che non possiamo lasciarci sfuggire».