Merloni: dietro la vicenda lucana sembra esserci un gioco politico

Se ancora ci sono lotte di questo tipo camminiamo come il gambero. Abbiamo raggiunto tanti risultati con il sindacato e questa vicenda di Melfi mi sembra uno strappo interno al sindacato. È assurdo che mentre tutto il sistema economico italiano si mobilita per aiutare la Fiat a uscire fuori dalla crisi, il sindacato blocca un punto importante del sistema produttivo del gruppo torinese». Vittorio Merloni commenta con preoccupazione quanto sta accadendo a Melfi. Più che il sindacato è stata la Fiom a spaccare il fronte della trattativa con la Fiat. C'è un disegno dietro tutto questo? «Sembra più un gioco politico che di strategia sindacale. Non si capisce come mai prima sono state fatte pressioni sindacali sulla Fiat perchè si dislocasse al Sud e poi si fa di tutto per danneggiare quegli stabilimenti». La Fiat sta uscendo a fatica dalla crisi ma tutto il sistema produttivo italiano è in affanno e la ripresa sembra ancora lontana. Che fare? «Noi pensiamo che tutto il mondo giri intorno alla produzione. Questa è importante ma non è l'unico fattore di sviluppo dell'economia. Il boom italiano fatto dai bassi costi di manodopera e delle metarie prime è finito. Si chiuso un ciclo. Ora l'Italia ha a che fare con Paesi come la Turchia e la Cina molto agguerriti e con un costo del lavoro basso e che quindi richiedono da parte del sistema produttivo europeo strategie diverse». Il sistema Italia come può fronteggiare il basso costo del lavoro dell'Asia? «Innanzitutto bisogna ragionare in termini di concorrenza tra Europa, America e Asia. L'Italia ha tante potenzialità. Siamo bravi a produrre, ora dobbiamo essere bravi a sviluppare i servizi. Bisogna passare dall'hardware al software, dalla meccanica ai servizi, al know how. Un po' quello che ha fatto l'Inghilterra al tempo della Thatcher che ha lasciato pure che le fabbriche di auto finissero in mani straniere ma si è presa tutta la finanza, le assicurazioni i servizi. L'Italia ha grandi ricchezze che però non sfrutta. Venezia vuol mettere il biglietto d'ingresso alla città e mi sembra giusto. Diamo un valore economico al patrimonio storico dell'Italia. Roma è una città con grandi potenzialità nel settore alberghiero e turistico e su questi deve puntare. Si crea più ricchezza con il turismo che con la produzione e ancora non ce ne rendiamo conto». Sulla valorizzazione del made in Italy siamo tutti d'accordo ma i prodotti italiani se la devono vedere con la concorrenza della Cina, della Corea e anche dell'India. «La Cina non la combatte l'Italia ma l'Europa e l'America. Sbaglia però chi vede questi Paesi solo come concorrenti. Il loro reddito sta salendo e possono diventare acquirenti privilegiati del made in Italy. Mi ha stupito quando sono tornato a Mosca ad un anno di distanza, trovare filiali della Ford, della Wolkswagen e una boutique di Maserati Ferrari. La risposta alla concorrenza dell'Asia è di fare un sistema unico europeo. Poi occorre innovazione e semplicità legislativa. La fragilità dell'Europa è la doppia legislazione. Non ci sono ancora società uniche europee, ognuna ha un'amministrazione diversa». Che interventi deve mettere in campo il governo per aiutare l'economia? «Io speravo molto nel sistema dei poli ma questi sono paralizzati da discussioni interne e questo non fa bene all'economia. Poi c'è la questione delle Università che non sono collegate al mondo produttivo. Per rimettere in moto l'economia occorre una collaborazione costante tra politica, formazione e industria. La politica deve dare messaggi chiari, ci deve essere compattezza. Quando è stato eletto Berlusconi mi sono detto che era fortunato perchè aveva davanti cinque anni per governare con una maggioranza compatta e con l'economia in ripresa. Poi invece l'economia è andata male e nella maggioranza sono emerse lotte interne». Quindi le imprese più che chiedere al governo devono rimboccarsi le maniche? «Esatto. L'imprenditore vincente è quello che