I Paesi ricchi tengono d'occhio il dollaro Tremonti soddisfatto: «Abbiamo ottenuto quello che volevamo». Tocca allo yen fare la sua parte

Quando i mercati dei cambi riapriranno si vedrà se i ministri finanziari e i governatori dei sette paesi più ricchi del mondo sono riusciti a trovare le parole per rendere meno volatili gli scambi o se invece il dollaro affonderà ancora. In due anni il biglietto verde si è deprezzato del 30% nei confronti dell'euro, dal G7 di Dubai, in settembre, ha perso il 10% e l'euro ha chiuso la settimana scorsa in forte rialzo toccando di nuovo quota 1,27 dollari. Il ministro delle Finanze francese Francis Mer ha auspicato che questa volta il mercato comprenda il messaggio contenuto nel comunicato finale e gli operatori non si mettano a vendere dollari a cascata come successe dopo Dubai. «Tutti possono capire cosa c'è scritto in quel testo, che è stato fatto essenzialmente per i mercati», ha spiegato. «L'eccesso di volatilità e i movimenti disordinati nei cambi non sono auspicabili per la crescita economica», hanno scritto i Sette Grandi nel comunicato e subito dopo hanno aggiunto il più classico degli avvertimenti in materia valutaria: «continuiamo a monitorare con attenzione i mercati dei cambi e a cooperare se sarà necessario». Il messaggio che gli europei vorrebbero che passasse è quello che la correzione al ribasso del dollaro nei confronti dell'euro è finita, come hanno cercato di spiegare nel documento: «Sottolineiamo che una maggiore flessibilità dei cambi» -le parole che scatenarono le vendite di euro contro dollari dopo Dubai- «è auspicabile per quei paesi e quelle aree economiche dove questo non c'è stato». Tocca quindi, caso mai, allo yen e alle altre valute asiatiche fare la loro parte. Appello alla flessibilità, condanna ai movimenti disordinati dei tassi di cambio e della «eccessiva volatilità monetaria». Ma nessuna concreta indicazione per il raggiungimento degli obiettivi. È quanto è emerso dal documento finale del summit dei ministri delle finanze del G7 di Boca Raton. L'appello alla flessibilità è stato lanciato anche ai paesi asiatici, in particolare Cina e Giappone, per permettere alle loro monete di fluttuare liberamente contro il dollaro. Washington ha sottolineato infatti che il valore troppo basso delle monete asiatice minaccia il suo export. La stessa obiezione è stata sollevata dagli europoei nei confronti degli Stati Uniti. «L'eccesso di volatilità e i movimenti disordinati nei tassi di cambio non aiutano la crescita economica», si legge nel documento dei ministri delle finanze del G7. Soddisfatti i ministri europei. «Abbiamo avuto esattamente quello che volevamo, siamo contenti», ha detto Giulio Tremonti. Sulla stessa linea il collega tedesco Hans Eichel. Il giapponese Sadakazu Tanigaki ha invece tenuto a negare che il passaggio sulla «flessibilità» fosse stata ispirata dal suo paese, che è impegnato, ha tenuto a ricordare, contro i guadagni rapidi dello yen e che ha speso 188.5 miliardi di dollari per mantenere basso il valore della sua moneta e il suo export. Il ministro del tesoro americano, John Snow, dal canto suo ha annunciato che gli Stati Uniti continueranno a sostenere la politica di un dollaro forte.