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Parla Maurizio Mattioli: "Se tornassi mastro Titta..."

L'attore dagli esordi come stuntman al Bagaglino: "Pingitore mi salvò la vita". Per oltre dieci anni boia in Rugantino: "Ecco chi farei salire oggi sul patibolo"

Davide Di Santo
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Maurizio Mattioli, attore e comico di razza, maschera verace della romanità, è partito dal cinema all'inizio degli anni Settanta. Comparsate, qualche posa, poi le prime battute sullo sfondo di soldatesse e liceali. Il ragazzo di Monte Mario le provava tutte per sfondare, anche proponendosi come stuntman. Un aneddoto che gira tra i cinematografari è quello che lo vede sfasciare un elicottero sul set de «La polizia accusa: il Servizio Segreto uccide» (1975) di Sergio Martino con Luc Merenda, Mel Ferrer e Tomas Milian. Mattioli, come andò veramente? «Martino dice che l'ho sfasciato, in realtà io ho provato a salvarlo, quell'elicottero! Come spesso accade per le storie da set è tutto un po' romanzato. Era uno dei primi film nei quali mi era concessa una battuta. Pochi secondi, eh, però parlavo. L'ambientazione era quella di un campo paramilitare. A un certo punto qualcuno da una collinetta fa rotolare un copertone di camion: all'epoca si utilizzavano per le esplosioni e gli incendi. Il copertone comincia a prendere velocità puntando dritto sull'elicottero fermo a valle». E lei? «Io sto nel mezzo così mi lancio sulla ruota per deviarne la traiettoria. Riesco a dargli un calcio ma il copertone colpisce lo stesso l'elicottero e spacca la carlinga... Copertoni a parte, devo moltissimo alla Dania film di Luciano Martino. Tra i film fatti con lui, oltre alle commedie con Edwige Fenech e tanti bravi attori, mi piace ricordare uno spaghetti western girato con il povero Maurizio Merli: "Mannaja". Il mio ruolo era quello di un minatore peones, con la faccia nera di carbone. Sul set ero pronto a fare di tutto, mi improvvisavo anche stuntman. Ho preso qualche cazzotto ma per lavorare l'ho fatto volentieri». Voleva già fare l'attore comico? «Ho sempre sentito la necessità di far ridere, da quando ero ragazzo e provavo le barzellette al bar. La palestra da comico l'ho fatta nei film di Mariano Laurenti con gente del calibro di Enzo Montagnani. Quelli della commedia sexy erano set frenetici. Si andava a cento all'ora anche perché si producevano sei o sette film l'anno. Si imparava tantissimo, è vero, ma solo quello che si può imparare perché comici si nasce. I tempi giusti uno ce l'ha dentro». E la tecnica? «Serve. Per questo poi me ne andai a studiare a teatro, allo Stabile di Roma. Nessuno lo sa, ma ho fatto Shakespeare e Brecht e ho lavorato con Enrico Maria Salerno. Il comico che era in me, però, uscì di nuovo fuori così bussai al Puff di Lando Fiorini. E poi tanto cabaret». Poi la stagione del Bagaglino... «Pingitore mi ha voluto bene come a un fratello più piccolo che ogni tanto aveva bisogno di una sculacciata. Un amore irripetibile e ricambiato. Parlando di lui sono costretto a parlare anche della mia vita. Non ero nato tra baci e biscotti, venivo dalla borgata ed ero un po' scatenato. Facevo le stupidaggini che facevano i ragazzi, ma meno di tante leggende messe in giro su di me». Leggende alimentate anche dall'arresto per droga nel '95. (Mattioli fu detenuto per un mese nel carcere di Poggioreale. In seguito fu assolto con formula piena). «Mi hanno fatto una prepotenza. Lo Stato se crede può rovinarti per poi darti una miseria di risarcimento. Fui tirato in ballo da una ex collega che neanche conoscevo. Oltre a essere incensurato, non sono mai stato trovato in possesso di nulla. La mia posizione (l'inchiesta era della procura di Napoli, ndr) venne stralciata e a Roma, dopo un quarto d'ora di udienza, mi mandarono via. Quando uscii Pingitore mi diede un calcio nel sedere. Non figurato, proprio un calcio nel sedere. E mi disse: "Hai fatto una cazzata". Si riferiva a certe amicizie. Con quel calcio santo mi salvò la vita e mi rimise subito sul palcoscenico nonostante tutte le pressioni che ricevette per tenermi fuori. Eravamo a Rimini per le prove di Beato fra le donne: "Lui va in scena. E zitti"». Le manca un ruolo da mattatore al cinema? «Mi piacerebbe interpretare un prete. Un sacerdote di strada che mena a papponi e spacciatori. Una specie di Don Matteo alla Bud Spencer». Ha vissuto a pieno Roma ed è un simbolo della romanità. Cosa pensa di come è oggi la città? «Io sono scappato. Oggi abito fuori, in campagna. Mi piace ogni tanto tornare a Monte Mario dove ho mantenuto la banca e il barbiere, lo stesso di quando ero ragazzo. Ma non mi riconosco più in questa città. Non mi piace, non mi somiglia. E mi fa anche un po' paura per certi versi. Quando ero ragazzo la sera partivamo dalla borgata per fare l'alba in centro. La criminalità c'era anche allora ma i problemi di Roma non erano quelli di una metropoli come oggi. Per tacere della monnezza e delle buche... Ormai non serve neanche più parlarne, tanto nessuno fa niente». E la Roma giallorossa? Daniele De Rossi è partito per Buenos Aires. Cosa ne pensa? «Auguro il meglio a De Rossi che giocherà in una squadra scolpita nella storia. Devo dire che il suo coraggio mi ha sorpreso. Sarebbe potuto andare in qualsiasi club e invece ha scelto di giocare a quindici ore di volo da Roma». E l'addio di Francesco Totti? «Tornando alla città: non solo buche, monnezza e disservizi, stiamo pure senza Totti e De Rossi. Una tragedia». A quale personaggio è più legato? «Sicuramente a mastro Titta di Rugantino che ha rappresentato la consacrazione della mia carriera. L'ho interpretato per la prima volta nel '98, l'ultima nel 2010. Quando è stato affidato ad altri ho sofferto molto». Chi manderebbe sul patibolo oggi mastro Titta? «Non ho dubbi. Per primo chi fa violenza sui bambini. Poi chi abbandona gli animali in autostrada».

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