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Dodi Battaglia ha nostalgia dei Pooh. Senti cosa dice sugli ex

Il chitarrista parla dei vecchi compagni di band e del suo doppio "Perle": "Mi sembra ancora di rivederli suonare sul palco accanto a me"

Carlo Antini
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Dopo cinquant'anni con i Pooh, la voglia di fare musica è rimasta la stessa. Anzi. Dodi Battaglia non ha mai avuto alternative. E oggi come allora punta tutto sulla qualità e sul suo talento alla chitarra. È appena uscito il nuovo doppio album live intitolato semplicemente «Perle» che racchiude alcune tra le più belle canzoni dei Pooh e un brano inedito col testo scritto dall'amico Giorgio Faletti che farà parlare di sé. Dodi Battaglia, cosa la legava a Giorgio Faletti? «Una profonda amicizia nata sui circuiti automobilistici. Ci siamo frequentati per anni. Giorgio era una persona straordinaria. Un grande attore comico e drammatico e un autore famoso in tutto il mondo. Ha venduto milioni di libri. Sono poche le persone così poliedriche ed eclettiche. Era amato da tutti». Nel doppio album «Perle» c'è una canzone intitolata «Un'anima» il cui testo è stato scritto proprio da Faletti. Di cosa parla il brano? «È la confessione di un uomo di fronte al suo amore. I versi che mi ha lasciato Faletti li ho completati io e dicono testualmente: "La cosa che sento dentro è la mia anima che muore d'amore per te". La canzone è una perla tra le perle e sta avendo un grande successo. Ne abbiamo stampato anche un 45 giri in vinile bianco. È davvero un oggetto imperdibile». Perché nel nuovo album live ha deciso di riproporre i vecchi successi tratti dalla storia dei Pooh? «Ho scelto di riportare sul palco i brani più nascosti della nostra discografia ma non per questo meno belli o emozionanti. Sono le melodie più intime e ricche di pathos. È come se fosse una storia parallela, una seconda chiave di lettura della nostra musica. Dopo 30-40 anni era arrivato il momento di ritirarli fuori. Era un peccato lasciarli morire in un cassetto. L'operazione "Perle" sta andando benissimo. I firma-copie sono un bagno di folla e le date della tournée sono tutte sold out. L'idea era giusta e sta incontrando il favore del pubblico nonostante il difficile momento della musica». A cosa si riferisce? «Al fatto che oggi la musica fa sempre più parte della vita di tutti i giorni ma c'è stata una rivoluzione epocale nella spartizione dei diritti. La deregulation è stata troppo veloce. Per questo abbiamo dovuto contenere i costi nonostante il doppio album sia corredato da un libro cartonato di sessanta pagine ricco di foto e testi dedicati alle canzoni». Quale potrebbe essere la contromisura per uscire dalle difficoltà in cui si trova l'industria discografica italiana? «Un primo passo potrebbe essere l'approvazione della proposta di legge che dovrebbe allineare l'Italia agli altri Paesi europei. Dobbiamo difendere la nostra musica. Quando andiamo all'estero funziona così. In Francia, ad esempio, il 40 percento delle canzoni trasmesse dalle radio devono essere francesi. Solo così possono ripetersi fenomeni come Verdi o Pavarotti». Anche adesso la sua attenzione è rivolta al passato. I Pooh cosa le hanno lasciato in eredità? «Mi hanno lasciato un insegnamento fondamentale: che per fare musica bisogna innanzitutto saper ascoltare gli altri. Stare in una band ti abitua ad accettare il punto di vista altrui. È una scuola di democrazia. Difficilmente nei talk show vedrete musicisti fare confusione perché quando un musicista parla si sa far ascoltare senza urlare. La caciara non fa parte del nostro stile». Ora che è in tour da solista le manca tutto questo? «In questi due anni ho fatto tantissimi concerti e posso fare esattamente quello che voglio. Ma continuo a fare una vita da band. Tra me e i miei collaboratori c'è grande empatia. Non vedo alternative a un lavoro d'equipe. Mi piace lo scambio ed è come se stesse proseguendo l'approccio di sempre. Spesso mi chiamano per fare seminari in giro per l'Italia ma io continuo a imparare di più ogni giorno che passa». Dopo tanta gloria cosa le dà la spinta per proseguire la sua avventura in musica? «Il mio amore infinito. Ho iniziato a suonare quando avevo solo cinque anni. Ho sempre voluto intraprendere questa strada. Praticamente è stata una non scelta». Sua madre e suo padre erano musicisti. Cos'hanno fatto per la sua carriera? «Tantissimo. La mia famiglia è stata indispensabile. Nel dna ho sette note. Quando ho detto che nella vita avrei voluto diventare un musicista mi hanno supportato subito». Quali sono stati gli incontri che hanno cambiato la sua vita? «Ho avuto la fortuna di conoscere Jimi Hendrix e ho capito subito che, dopo di lui, suonare la chitarra sarebbe stato qualcosa di diverso. Determinanti sono stati poi Valerio Negrini e Roby Facchinetti che hanno deciso che sarei diventato chitarrista dei Pooh. E poi Vasco Rossi, Enrico Ruggeri, Gino Paoli e Al Di Meola. In 50 anni di Pooh le cose belle sono state davvero tante». Qual è il suo desiderio più grande? «Sicuramente la voglia di allacciare rapporti e collaborare con altri artisti. Penso, ad esempio, a Tommy Emmanuel. Sarebbe un bel modo per rimettersi in gioco ad alti livelli. Naturalmente lo potrei fare solo se avessi qualcosa di significativo tra le mani». A una reunion dei Pooh ci ha mai pensato? «Ancora oggi sul palco mi capita di girarmi e vedere i Pooh accanto a me. Potrei tornare con loro ma a una sola condizione: che parte degli incassi siano devoluti in beneficenza. Se fosse così tornerei con loro anche domani mattina. E pagherei pure la benzina».

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