POP CULT

Don Backy e il guru Celentano: "Se fa il santone è colpa mia"

Davide Di Santo

«E pensare che il Celentano santone, messianico e fintamente religioso è nato per causa mia. La scintilla è stata "Pregherò", di cui ho scritto il testo. Ma in realtà Adriano è un arido, non crede in niente se non nell’interesse personale». A parlare è Don Backy, al secolo Aldo Caponi, cantante e autore di brani come "L’immensità", "Canzone", "Poesia", ma anche scrittore, pittore e attore sia in film impegnati come Banditi a Milano sia in pellicole di genere e "boccaccesche". Le sue ruggini con il Molleggiato sono di antica data e risalgono ai tempi del Clan, la casa discografica di Celentano. Il caso esplose pubblicamente a ridosso del Festival di Sanremo ’68, per il quale il cantautore di Santa Croce sull’Arno aveva presentato "Canzone" ma la Vanoni si era innamorata di un altro suo brano, "Casa bianca". L’escamotage trovato dal Clan per far concorrere due pezzi dello stesso compositore fu di far firmare la musica di "Casa Bianca" a un altro autore, e questo provocò la rottura definitiva tra Don Backy e l’ex mentore. I due, infatti, erano ai ferri corti da tempo per royalties non versate, vicenda conclusasi con una transazione in cui, di fatto, venne riconosciuto il torto di Celentano. «Era il 1974 e da allora non ci siamo più incontrati», racconta Don Backy nella sua casa nelle campagne alle porte di Roma. L’ha vista Adrian, la serie animata di Celentano che va in onda su Mediaset? «No, quando c’è Adriano in tv cambio canale. Mi dà proprio fastidio vederlo. Perché ho capito che non è mai stato un amico. Vuole sapere se mi compiaccio per il flop di ascolti? In realtà sono contento per un altro aspetto. Io realizza Sognando, una commedia musicale a fumetti andata in onda su Rai 2 nel 1978. In un certo senso sono l’antesignano di quel tipo di operazioni, e devo registrare che anche in questo caso lui ha replicato l’idea di qualcun altro. Ma gli è andata male, forse perché ha voluto ripercorrere i temi di Joan Lui, rintuzzando con l’idea di lui che torna e fa i miracoli. Soffre di sindrome messianica. Ma in fondo il colpevole sono io». In che senso? «Quando scrissi il testo di "Pregherò" per Ricky Gianco, che voleva fare la versione italiana di "Stand by me", lui fiutò il successo che poteva avere e la volle per sé. Ebbe ragione e da allora cominciò a sfruttare la sua presunta religiosità al massimo. Il Celentano mistico e santone nasce da quella scintilla, ma si vede che non ci crede. E il suo comportamento con noi del Clan ne è l'esempio più lampante. Cacciò Ricky e Guidone senza colpo ferire, e con me è finita come è finita. Lui e Claudia Mori me l’avevano giurata. Quando mi diede l’assegno della transazione per i diritti non versati mi disse: "Ue’ Don Backy, quando me li ridai questi?" Capii allora che era iniziata una guerra che in seguito mi avrebbe precluso molte possibilità di carriera. Anche perché Adriano è un tipo vendicativo, e la morale cristiana è quanto di più lontano da lui. Nonostante la sua immagine pubblica è chiaro che non crede in niente, tanto meno in Dio. E negli ultimi anni del Clan, che era nato con una stretta di mano tra amici, si comportava come un sovrano con i sudditi». In che modo? «Lui era già sposato con la Mori e faceva vita di famiglia, così noi del Clan lo vedevamo di rado. Anche solo per parlargli dovevamo passare per l’intercessione di Miki Del Prete, allora elevato alla soglia di direttore artistico. Dovevamo scrivere su un foglietto il motivo della conversazione, e poi il sovrano decideva se riceverci o meno. La prefazione del mio primo libro ("Io che miro il tondo", primo romanzo a firma di un cantante, pubblicato da Feltrinelli nel 1967, ndr) me la sono scritta da solo imitando stile e firma di Celentano, visto che non riuscivo a parlarci». Lo ha visto il Festival di Sanremo? «Non partecipo dal ’71 (con "Bianchi cristalli sereni", in coppia con Gianni Nazzaro, ndr) e non lo vedo dall’anno successivo». Altra storia travagliata... «Nel ’72 presentai "Nostalgia" e non la presero. Nel ’73 inviai "Sognando", brano sul disagio mentale poi portato al successo da Mina. Idem: scartato. Allora giurai che non avrei mai più guardato il Festival. Io quando chiudo un capitolo lo chiudo e basta. Come con Celentano. Ultimamente ho scritto "Nel vento", brano sull’aborto composto dopo aver letto "Lettera a un bambino mai nato" di Oriana Fallaci. Non esprimo un giudizio, ma racconto il dramma di una scelta così pesante con le parole di un bambino che è volato via nel vento. L’ho presentata a tutti ma non me la fanno cantare. A Paolo Bonolis, a Carlo Conti, l’anno scorso anche a Claudio Baglioni per il Festival. Ma con Sanremo non c’è speranza. Dal ’72 a oggi ho mandato decine di canzoni ma le hanno tutte scartate. Probabilmente se uno non ha alle spalle una casa discografica forte neanche le ascoltano. Per "Nel vento" mi sono scambiato dei messaggi con Baglioni. Gli ho detto: "Ho fatto 55 anni di carriera senza mai un riconoscimento dal Festival. Ti mando questo brano di rottura, di cui si parlerà sicuramente. Se non la vuoi in gara fammela almeno cantare come ospite". Mi ha risposto che ci pensava, che avrebbe visto, valutato col suo staff... Lei l’ha sentito?»