l'intervista

Lo sfogo di Moro: "Io come Rocky non come alcuni colleghi che scrivono nella villa al mare del papà"

Giada Oricchio

Fabrizio Moro ha ritrovato il successo dopo la vittoria al Festival di Sanermo in coppia con Ermal Meta e il quinto posto all’Eurovision. Il cantante romano si racconta in un’intervista al settimanale “Vanity Fair” e rivela: “Ero sempre inca***to. I colleghi? Scrivono testi pieni di poesia nella villa al mare del padre e con i camerieri. E’ chiaro che non ce l’hanno con il sistema. Amo le famiglie numerose e non sono un padre ansioso, lascio che i miei figli caschino per terra. Io come Rocky: vengo dalla periferia e ho costruito il mio successo con l’amore. Della tv non me ne frega niente, ma se la gente non viene ai miei concerti mi metto a piangere”. SFOGLIA GALLERY Fabrizio Moro, che il 16 giugno aprirà il tour italiano all’Olimpico di Roma, si ricorda tutto, dal primo provino a 17 anni fino ai numeri dei concerti che organizzava in prima persona. A Enrica Brocardo di Vanity Fair confessa: “Il mio primissimo provino, a 17 anni, lo portai a un signore che aveva un negozio di dischi a via Tiburtina. (…). All’inizio facevo ascoltare le mie canzoni a chiunque. L’ho presa larga, come dico io. Lo stesso ha fatto Ermal. Che poi è il motivo per cui ci siamo trovati. Rimpianti? Tutto il tempo che ho perso, gli errori che ho fatto, le zappate sui piedi che mi sono preso e dato da solo mi hanno reso quello che sono oggi. Ma è vero anche che, in mezzo, ci sono stati anni in cui ero sempre incazzato”. La Brocardo chiede: “Esempi di zappate?”, “Io sono troppo sincero. Istintivo. Adesso prima di dire qualcosa ci penso. Ma fino a qualche anno fa, che fossi sul palco di Sanremo, di un congresso politico o dell’Eurovision, mi portavo dietro la rabbia del marciapiede. Il problema è che, quando sei incazzato, ti capiscono solo quelli incazzati come te. (…) Ho scritto canzoni che non potevano essere mandate in radio (Barabba, del 2009, ndr), per anni non ho messo piede in tv”. Moro sa esattamente l’origine della sua rabbia: “Nessuno mi dava retta. Quando non riesci a esprimerti diventi un frustrato e i frustrati rovinano il mondo” e poi aggiorna la versione dei “comunisti con il Rolex”: “Diciamo, però, anche un’altra cosa: parecchi miei colleghi cantautori romani che scrivono solo testi pieni di poesia compongono nella villa al mare ereditata dal papà, coi tappeti persiani e i camerieri coi guanti bianchi. Col sistema è normale che non ce l’abbiano, loro». Moro ha avuto un’infanzia felice, una specie di “comune” in un palazzo del quartiere San Basilio e ancora oggi nella sua casa di Formello ospita parenti, amici, i genitori, i suoi musicisti. E allora “Da bambino felice ad adolescente rabbioso: com’è successo?” domanda la giornalista e quello: “Da ragazzo ho cominciato a pensare a tutte le cose che non potevo avere, materiali ed esistenziali. Non avevo soldi, non mi andava di studiare e così, anche se ero sempre stato promosso, al quarto anno ho lasciato le superiori. Non mi sentivo bravo in niente. Papà si è sempre dedicato alla sua famiglia, però con noi figli non c’è mai stato un vero incontro emotivo. (…) Per dirle, fino a qualche anno fa se dovevo aprire una bottiglia di vino davanti a un gruppo di persone, mi tremava la mano per la paura di non farcela. Dall’insicurezza è nato il desiderio di rivalsa, la rabbia. Mamma è sempre stata una donna dolcissima. Amava la musica, il cinema, l’arte. (…) Di carattere, però, è sempre stata chiusa, timida. La paura di ammalarmi me l’ha trasmessa lei (…) oggi sono un po’ meno ipocondriaco ma, per capirci, basta che mi venga la febbre per mandarmi in depressione. Quando sto con i miei figli, però, faccio il possibile per mostrarmi forte. Anche se dentro non lo sono”. Della compagna preferisce non parlare, ma rivela di non essere un padre ansioso: “Per niente. Non li controllo apposta, lascio che caschino per terra. Tanto che la loro mamma di quando in quando sbrocca”. Fabrizio Moro è sui generis e svela un altro retroscena sui colleghi: “Il mio primo concerto a pagamento l’ho fatto nel 2011 al locale Stazione Birra di Ciampino: 700 persone, 12 euro a biglietto. I miei colleghi non lo dicono, ma se suoni gratis nelle piazze è facile che arrivi anche a fare diecimila persone. Però non conta niente. Per carità, io ho campato così per tanti anni. In Calabria avrò fatto 200 feste del santo. Ho suonato dappertutto. (…) Ho sempre curato ogni minimo dettaglio dei miei concerti da solo, ogni volta con la paura che non venisse nessuno. Ancora oggi ci sono “piazze” difficilissime, Genova per esempio. Non ho praticamente mai suonato in nessuna delle città di questo tour e si tratta di spazi grandi, da 4-5 mila persone. Un po’ di timore ce l’ho. Ma io sono un musicista e voglio stare sul palco. C’è da suonare all’Olimpico? Vado. In un campeggio? Vado pure lì. Della tv non me ne frega niente, mi serve per poter fare concerti. Se vendo pochi dischi mi dispiace, ovvio, ma se la gente non viene a vedermi dal vivo mi metto a piangere”. Moro crede nel suo messaggio: “Rappresento tutte le persone che, come me, vengono dalla periferia e che hanno trovato un modo per realizzare i loro sogni. Sa qual è il mio film preferito? Rocky. E com’è che Rocky Balboa ha costruito il suo successo? Con l’amore. Se non avessi visto quel film da bambino, forse non avrei mai fatto il cantautore”.