Il ballerino Rudolf Nureyev è morto d’Aids a 54 anni

Per Rudolf Nureyev, il «tartaro volante» che molti chiamavano ormai affettuosamente Rudy, è giunto il momento del volo più lungo. E uscito di scena definitivamente con un «gran eté» alla sua maniera, da grande danzatore, per non tornare mai più sulla ribalta della vita lui che sembrava sprigionare energie cinetiche e muscolari, simbolo stesso della danza e del movimento. Era nato il 17 marzo 1938 nei pressi di Irkutsk, ai confini con la lontana Mongolia. E, quasi preannuncio di una vita girovaga, tutta genio e sregolatezza, era nato su un treno alla volta di Vladivostok, dove la madre tentava di raggiungere il marito trasferito insieme con il suo battaglione di artiglieria. Figlio di contadini tartari che avevano trovato un relativo benessere dopo la rivoluzione russa e poi patito tutte le difficoltà della guerra, si era trasferito ancor bimbo ad Ufa, nella Repubblica Bakhsira, sugli Urali. Freddo e fame furono all’ordine del giorno (la madre fu quasi sbranata dai lupi selvaggi), ma il ragazzo si forgiò alla fatica, rivelando un amore per la musica e una predisposizione per la danza ed esibendosi in spettacoli improvvisati per i soldati russi reduci dal fronte. Ma fu verso gli otto anni che decise di intraprendere professionalmente la carriera di ballerino e ad undici cominciò a prendere le prime lezioni di danza da una vecchia signora che aveva fatto parte della compagnia di Diaghilev, poi da una ex-solista del Kirov di Leningrado. Entrò cosi a far parte del balletto del Teatro di Ufa e prese conoscenza del grande repertorio russo-sovietico. Nonostante l’ostilità della famiglia, lasciata la scuola, Nureyev volò a Leningrado per seguire i corsi della prestigiosa Accademia di danza fondata da Agrippina Vaganova; che già aveva formato e laureato «stelle» di prima grandezza come la Pavlova, Nijinski e la Ulanova. Ammessovi nel 1955, già tre anni dopo Rudy si metteva in luce a Mosca in un concorso internazionale, finendo con l’essere richiestissimo dai più importanti teatri sovietici. Nureyev scelse il Kirov, col quale si esibì inizialmente accanto alla più anziana Dudinskaja, suscitando grandi consensi. Ma il gran salto Rudy lo compì durante una «tournée» del Kirov a Londra e Parigi nel fatidico 1961, rifiutandosi di tornare in patria e suscitando cosi, negli anni della guerra fredda, un clamoroso caso internazionale intorno al suo nome. Ad aprirgli inizialmente le braccia in Occidente furono l’International Ballet del Marchese di Cuevas, dove lavorò con Rossella Hightower, e il Balletto Reale Danese di Erik Bruhn. Ma fu col Royal Ballet di Londra e accanto alla straordinaria Margot Fonteyn che Nureyev trovò un’intesa produttiva continuativa. E accanto a lei che nel 1962 comincia ad apparire anche in Italia (Festival di Nervi in Lago dei cigni). Da allora le sue apparizioni in Europa si moltiplicarono: Spoleto, Vienna, Londra, Parigi ma anche New York in un repertorio comprendente le grandi opere ottocentesche (ma anche moderne creazionidi Ashton, Roland Petit, Mac Millan, Béjart, Taylor) e tutti i massimi autori di danza del nostro secolo. Negli ultimi vent’anni era apparso più volte in Italia, specialmente alla Scala ma talvolta anche a Roma con sue interpretazioni e sue coreografie di base rigorosamente accademica. Ultimamente, chiamato a ruoli di responsabilità all’Opera di Parigi, Nureyev non aveva praticamente mai abbandonato il palcoscenico, sin oltre la fatidica soglia dei cin- quant’anni. Anche nell’età del declino fisico, la danza era per lui un bisogno innato, una necessità del corpo e dello spirito. Come uomo e come artista Nureyev era una persona riservata, magari diffidente, sensibile ma riservato, dotato di senso dell’umorismo, ma soprattutto orgoglioso. Instancabile nel lavoro e curioso nelle cose d’arte, si concedeva raramente agli amici. Ma quando lo faceva era in modo totale. Pregevole è stato il lavoro di Nureyev come coreografo. Indubbiamente non ebbe certo la statura dei grandi autori di balletto del nostro tempo, tuttavia la sua straordinaria esperienza di interprete gli consentì sia di riprodurre grandi balletti di repertorio che di aggiornarli con piccoli tocchi per renderli più vicini al gusto ed alla sensibilità d’oggi. Così accadde per Il lago dei cigni, Don Chisciotte, La bella addormentata, Raymonda, Schiaccianoci, Romeo e Giulietta. Senza tradire le trame originali, Nureyev spesso vi apportava quel tanto che bastava a rendere meno anacronistiche le fiabe dei nostri bisnonni. Sapeva infatti, prima come interprete e poi come coreografo, infondere nuova vita negli eroi talvolta poco credibili del balletto romantico e ciò senza mai tradire lo stile inconfondibile del balletto e senza deformare l’integrità del significato di fondo. Ma Nureyev, straordinario interprete classico-romantico, sapeva essere al contempo ballerino duttile, aperto alle nuove conquiste del moderno linguaggio, mettendosi a disposizione di grandi coreografi come Béjart, Petit, Tetley in opere coreografiche di grande valore storico e compositivo. Sicché oggi non lo ricordiamo solo nei panni di un trepido Romeo, di Iames ne La Sylphide, di Sigfrido nel Lago dei cigni, di Drosselmeyer in Schiaccianoci, ma anche in Chant d’un compagnon errant di Béjart, nel Calligrafico Apollon di Balanchine, in The Moor’s Pavane del messicano Iosé Limòn o in Aureole di Paul Taylor. Diverso dall’elegante Erik Bruhn «Danseurnoble» per eccellenza, cosi come da Vassiliev, danzatore eroico per antonomasia, Nureyev rifuggì da prestabilite etichette di ruolo, spaziando dalla danza narrativa a quella concertante e astratta, desideroso di affrontare ogni sfida artistica. Per lui la danza era la vita stessa, l’unico, primo mezzo essenziale per comunicare col mondo circostante. Fiumi d’inchiostro sono stati versati su di lui. Preferiamo ricordarlo giovane e incontenibile, come nel leggendario passo a due de Le Corsaire all’inizio degli anni ’60. Salti e giri che mai più abbiamo visto in palcoscenico. Con lui scompare un grande della danza, un indiscusso protagonista. Basterà averlo visto anche una sola volta in scena per portarlo per sempre nel cuore. Se ne è andato malinconicamente, ma per noi resterà sempre l’illusione di ritrovarlo dietro le quinte pronto di nuovo a galvanizzarsi e galvanizzare sotto l’occhio dei riflettori ed il calore degli appalusi per far grande la danza cui ha sacrificato la vita intera. L’ultimo applauso sia anche il più sincero. Simile ad un raggio di luce ha calcato le scene dei più celebri teatri, emozionando le platee di tutto il mondo per quel suo straordinario silenzio. Avvolta nel silenzio è stata la sua morte, L’eterno esule, che per patria aveva scelto la scena è stato stroncato da una complicazione cardiaca.