Una spia del regime nella morte del Duce
L’ultimo volume della grande biografia di Mussolini, scritta da Renzo De Felice e rimasta incompiuta per la scomparsa dell'autore, avrebbe dovuto trattare il tema della morte di Benito Mussolini. Lo studioso, in anni di ricerche, aveva raccolto molto materiale in archivi pubblici e privati, italiani e stranieri, e si era fatto rilasciare dichiarazioni da persone implicate nei fatti. Poco alla volta si era convinto che le "ultime ore" del Duce fossero state l'esito di uno scontro fra i servizi segreti alleati in collaborazione con alcuni segmenti della Resistenza: in particolare egli riteneva attendibile la cosiddetta "pista inglese" in base alla quale l'ordine di uccidere Mussolini sarebbe stato riconducibile alla volontà di Churchill, e più in generale dell'intelligence britannica, in contrasto con i progetti dei servizi segreti americani intenzionati invece a farlo prigioniero per sottoporlo al giudizio di un tribunale internazionale. Nel suo libro-intervista «Rosso e Nero», nel quale anticipava alcuni punti del volume in preparazione, De Felice aveva accennato proprio a questa tesi sostenendo che era stato "un agente dei servizi segreti inglesi, italiano di origine" a esortare i partigiani "a fare presto, a chiudere in fretta la partita Mussolini". Aveva, anzi, lasciato intendere come la persona in questione fosse Massimo Salvadori-Paleotti, meglio noto come Max Salvadori, paracadutato in Italia nell'inverno del 1945 come ufficiale alleato di collegamento con il Comitato di Liberazione Nazionale dell'Alta Italia (Clnai). Costui, interpellato dallo storico, redasse una memoria sulla fine di Mussolini, poi pubblicata in "Nuova Storia Contemporanea", nella quale, per la verità, non ammise esplicitamente di aver dato il "via libera" ai partigiani. Tuttavia alcune considerazioni sulle competenze del Clnai e dell'Amg sulla sorte di Mussolini, lette in controluce, sembravano confermare l'ipotesi dello storico perché lasciavano intendere, fra le righe, la necessità di operare in fretta. Si poteva leggere, infatti, nel testo di Salvadori: "per il Comando Alleato, il Clnai era il delegato del governo italiano in territorio occupato dal nemico e come tale se Mussolini si trovava in carcere al momento in cui entrava in funzione l'Amg, la giurisdizione del Clnai veniva a cessare e subentrava quella dell'Amg. La situazione dei giorni che precedettero l'arrivo delle truppe Alleate degli ufficiali dell'Amg corrispondeva ad una situazione di stato d'assedio quando il governo viene investito di poteri straordinari. La fucilazione di Mussolini e di altri gerarchi rientrava nel quadro di quella situazione". Al di là di queste parole, per certi versi "sibilline", la memoria di Salvadori non aggiungeva molto, ma altre circostanze sembrano avvalorare, comunque, l'ipotesi che egli sia stato una figura-chiave nella vicenda in questione. Del resto, di una vera e propria "gara di velocità" tra Intelligence Service inglese e Oss americano per la cattura di Mussolini e per far prevalere la scelta della eliminazione immediata del possibile "scomodo testimone" oppure quella del deferimento di Mussolini a un Tribunale internazionale, De Felice aveva trovato numerose altre conferme, sia pure sempre indiziarie. Alla figura di Max Salvadori, noto anche come studioso del pensiero liberale, è stato dedicato recentemente un ampio lavoro biografico di Alessandra Grasso dal titolo «Max Salvadori. Appunti per una biografia politica» (Aracne), che ne ricostruisce con attenzione la vita avventurosa. Nato nel 1908 da una nobile famiglia di origine marchigiana, Max Salvadori aveva abbracciato l'antifascismo in età giovanissima, tant'è che nel 1923 aveva dovuto ritirarsi dalla scuola pubblica per uno scontro con un compagno fascista. Il suo "odio incontenibile verso il regime" (così si legge nella relazione di un fiduciario della polizia politica) si manifestò apertamente l'anno successivo, il 1924, quando il padre venne aggredito a Firenze da un gruppo di squadristi e lui stesso, accorso a soccorrere il genitore, venne bastonato. Trasferitasi all'estero la famiglia, in Svizzera, si laureò a Ginevra e, poi, rientrato in Italia, conseguì una seconda laurea a Roma. Di formazione liberale, aderì a "Giustizia e Libertà" e, per i suoi rapporti col fuoriuscitismo e per l'attività di propaganda clandestina dell'antifascismo, fu arrestato e inviato al confino ma vene rilasciato dopo pochi mesi per un atto di clemenza di Mussolini cui aveva indirizzato una lettera di sottomissione al regime. Riuscì, in seguito, a espatriare, si trasferì in Gran Bretagna, ma trascorse anni in Kenya e viaggiò in Spagna, in Francia e negli Stati Uniti. Dopo l'assassinio a Parigi dei fratelli Rosselli, sì imbarcò, con altri esponenti giellisti, in un progetto di attentato a Mussolini per vendicarli. Nel 1938, dopo un giro di conferenze negli Stati Uniti, tornò in Europa ed entrò in contatto con i servizi segreti inglesi. Ebbe inizio, da quel momento, una fase, complessa e anche controversa, della sua vita che, per un verso, lo spinse a precisare meglio le sue idee politiche in direzione di un liberalismo classico, e, per un altro verso, lo portò a un attivismo del quale le operazioni che lo videro, in qualche modo, protagonista nell'ultimo scorcio della guerra costituiscono una chiara manifestazione. Sulla vicenda del suo eventuale "coinvolgimento" nell'uccisione di Mussolini, il bel volume di Alessandra Grasso, per la verità, non aggiunge molto anche perché una parte delle carte di Salvadori (presumibilmente sull'argomento) consegnate all'Istituto per la storia del movimento liberale sono misteriosamente scomparse. Tuttavia, è un lavoro importante se non per altro quanto meno per il fatto di essere la prima biografia politica, scritta con finezza ed equilibrio, oltre che con vigile senso critico, su una personalità di rilievo, che fu, oltre che un esponente dell'antifascismo militante, uno studioso di notevole spessore della storia e del pensiero liberale.