Martin Luther King La storia di un sogno che si è avverato Una vita dedicata alla parità e all’uguaglianza Dietro la sua azione la regia discreta di Kennedy

Era il 28 agosto 1963. Quel giorno di fine estate di cinquant'anni or sono era particolarmente torrido. Dalle gradinate del Lincoln Memorial - al termine di una marcia di neri e bianchi, che rappresentavano l'America liberal e che manifestavano in difesa dei diritti civili - il reverendo Martin Luther King pronunciò un discorso destinato a passare alla storia. Nell'ultima parte, questo ancora giovane pastore battista (all'epoca aveva 34 anni essendo nato ad Atlanta nel 1929) disse, con la sonora cadenza tipica dei predicatori delle regioni meridionali degli Stati Uniti, di avere un sogno: I have a dream. Il sogno era quello di "strappare alla disperazione una pietra di speranza" e di prefigurare un futuro nel quale "i ragazzini neri e le ragazzine nere" avrebbero saputo un giorno "unire le mani con i ragazzini bianchi e le ragazzine bianche come fossero fratelli e sorelle"; un futuro di eguaglianza nella libertà che avrebbe trasformato "le stridenti discordie della nazione in una meravigliosa sinfonia di fratellanza". Le parole commossero la folla che rispose con l'inno della Chiesa Battista: "Ce la faremo, ce la faremo,/ ce la faremo un giorno;/ nel profondo del mio cuore credo/ che un giorno ce la faremo". Il clima lo colse subito, molto bene, Coretta King, la moglie di Martin Luther che l'aveva conosciuta quand'erano studenti all'Università di Boston e l'aveva sposata, dieci anni prima, nel 1953: "In quel momento sembrava che fosse apparso il regno di Dio. Ma fu solo per un momento". La marcia su Washintgon cui avevano preso parte circa 200.000 persone, anche se all'epoca non tutti se ne resero conto, segnò la fine di un periodo storico e l'inizio di un altro che, attraverso un percorso molto lungo e accidentato, avrebbe trovato un'ideale sublimazione nella ascesa di Barack Obama alla Casa Bianca. Era stata la più importante dimostrazione in favore dei diritti civili della storia americana, il canto del cigno del movimento di emancipazione non violento. La sua finalità immediata era fare pressioni per spingere il Congresso ad approvare il progetto di legge sui diritti civili presentato dal presidente della "nuova frontiera", John Fitzgerald Kennedy, che prevedeva l'abolizione della segregazione nei locali pubblico, ma non soddisfaceva appieno le aspettative di King perché non risolveva la questione della liberalizzazione del sistema scolastico. L'appoggio di King per l'elezione di Kennedy era stato determinante, ma, a parte la gratitudine politica, questi era realmente convinto della bontà della causa, tanto che dietro la manifestazione pacifica al Lincoln Memorial si poteva intravvedere la sottile regia della Casa Bianca. Il che apparve chiaro quando Kennedy, dopo che all'imbrunire si era dispersa la folla dei manifestanti, ricevette King e altri leader del movimento per i diritti civili e disse loro: "Questo paese può essere giustamente orgoglioso". A quell'epoca, Martin Luther King, con il suo sogno ecumenico di riscatto dei neri americani, era all'apice della notorietà. Pochi mesi prima, ad aprile, era stato incarcerato assieme a una cinquantina di dimostranti che, invocando la disobbedienza civile contro l'ingiunzione del tribunale volta a por fine alle manifestazioni per la promozione dei diritti civili, erano andati tranquillamente incontro alla polizia e all'arresto. Nei giorni trascorsi in carcere aveva scritto uno dei suoi testi più belli e pregnanti, Lettera dal carcere di Birminghan (ora pubblicato in italiano dall'editore Castelvecchi), nel quale, contestando chi gli rimproverava una strategia di lotta "imprudente e intempestiva", spiegava i motivi della sua azione facendo appello ai diritti dell'etica e del pensiero. Prima di essere un leader politico, King, in effetti, fu un intellettuale impegnato, profondamente impegnato, che aveva assorbito e fatta propria la lezione del Mahatma Gandhi ed era stato affascinato dalle idee e dagli scritti di David Thoreau a cominciare dal saggio su La disobbedienza civile, che era piaciuto anche a Tolstoj e allo stesso Gandhi. Così - dopo aver abbandonato il proposito di dedicarsi all'avvocatura o alla medicina, e aver deciso, seguendo le orme del padre e grazie alla lettura di grandi pensatori religiosi, di diventare un pastore battista - aveva scelto di impegnarsi in una vera e propria "crociata per la giustizia". Sulla sua ideale bandiera era inciso un concetto: "Dobbiamo usare l'arma dell'amore. Dobbiamo renderci conto che a molti è stato insegnato a odiarci, e non sono del tutto responsabili del loro odio". Era convinto, King, che avrebbe logorato gli avversari con "la capacità di soffrire" e li avrebbe conquistati suscitando "tanta simpatia" nel loro cuore. Ha osservato Arthur M. Schlesinger jr che questo oratore eccezionale, apostolo della non violenza, aveva saputo ricavare dalle tradizioni religiose dei neri del Sud una "forza nuova". La manifestazione di Washington del 1963 fu l'espressione più grandiosa dell'attivismo non violento di Martin Luther King (che pochi anni dopo, nel 1968, sarebbe stato assassinato a Memphis) ma non servì a esorcizzare il pericolo - lo si vide negli anni successivi - di una deriva estremista e rivoluzionaria che all'idea dell'integrazione pacifica sostituì quella della conquista violenta all'insegna del Black Power.