I toscani Baustelle tra il passato e il futuro dei loro fantasmi

Laloro musica prende sempre più la forma della vera canzone d'autore italiana. Col loro nuovo «Fantasma» i Baustelle di Francesco Bianconi si confermano tra le band più interessanti nel panorama italiano. L'idea da cui ha preso forma l'album si è manifestata poco più di un anno fa. Realizzare canzoni scritte come moderni lieder, composizioni per pianoforte e voce, e vestirle del suono di un'orchestra sinfonica. Dare spazio al suono dell'orchestra è stato il primo obiettivo dichiarato, per raggiungere il quale la band si è avvalsa di Enrico Gabrielli. La partecipazione all'album di un'orchestra di giovani virtuosi come la Film Harmony di Wroclaw ha fornito il tassello che mancava a un lavoro che affianca agli abituali riferimenti musicali (Ennio Morricone e la musica del cinema di genere italiano) tanta musica classica del Novecento: Stravinskji, Mahler, Ravel, Messiaen. La musica concreta, Ligeti, Bernard Hermann, Wagner. Il tutto ha trovato una sua forma in un album con 19 brani in scaletta, tra cui 13 canzoni e 6 strumentali il cui unico limite è una certa supponenza. Registrato a Montepulciano, nei saloni della Fortezza Medicea che la sovrasta e in altri luoghi della cittadina toscana, «Fantasma» ha riportato i tre Baustelle (Francesco Bianconi, Rachele Bastreghi e Claudio Brasini) a lavorare insieme dove era iniziata la loro storia, sottolineando la voglia di dar vita a un album collettivo e fortemente radicato sul territorio. Dalla tematica centrale discende anche il titolo, che da subito è stato «Fantasma». Con un punto di partenza dickensiano, forse, per il rimando a quei tre spiriti/fantasmi - del passato, del presente e del futuro - che appaiono e convertono lo squallido taccagno Ebenezer Scrooge in una persona migliore nel racconto «Canto di Natale» servito a Bianconi come stimolo e ispirazione. Il fantasma è in questo album uno specchio, un medium che ci permette di arrivare a noi stessi. Uno dei nodi centrali si dipana qui. Quello che ci fa paura non sono i fantasmi, ciò che ci fa paura siamo noi. Che si tratti dei fantasmi che celiamo nel nostro abisso interiore (come in «Cristina»), o delle mute tombe di un cimitero di città («Monumentale»), che siano gli spettri di noi stessi tante vite fa («Il futuro»), i fantasmi ricordano il tempo agli uomini. Dall'ulteriore passaggio evocativo del percorso tempo-fantasma discendono poi i riferimenti horror della copertina e più in generale di tutto l'artwork collegato a «Fantasma», quasi che il disco possa in tal modo essere vissuto come un film immaginario e come la sua colonna sonora. La scelta di una bambina stessa a terra coi capelli rossi sciolti è un omaggio al cinema orrorifico italiano degli anni '70, alla Nicoletta Elmi dei film di Dario Argento e a tutti quei film in cui la presenza infantile è legata al demoniaco e al soprannaturale: dalla bambina di «Operazione paura» di Mario Bava a quella del «Toby Dammit» di Federico Fellini; dalla filastrocca di «Profondo rosso» all'adolescente di «Valerie and her week of wonders» di Jaromi Jires, dalle gemelline di «Shining» alle ragazzine tutta chioma dei nuovi horror orientali come «Ringu».