«Se non riuscite a definire un film in un genere, quello è un film neorealista».

Ilregista ha rivelato che sta lavorando a una nuova antologia del neorealismo che si chiamerà «Non eravamo solo ladri di biciclette». L'incontro è stato l'occasione per fare un po' di chiarezza sul cinema neorealista, i cui confini e termini sono stati spesso travisati. «Come critico ho cercato di capire le ragioni profonde per le quali autori diversissimi tra loro come De Santis, Rossellini e De Sica si sono cimentati in questo genere. Ho trovato quattro caratteristiche comuni. Per prima cosa tutti questi registi si sono nutriti della cultura del Novecento, anche gli istintivi come De Sica. Poi hanno utilizzato esterni diversi dal solito, non solo quelli pittoreschi, privilegiando le linee orizzontali. Altro elemento in comune è stata la coralità: basti pensare al finale di "Ladri di biciclette", nel quale i passanti costituiscono una sorta di tribunale civile. Infine, ma forse è l'elemento più qualificante, la con-fusione di generi assai diversi tra di loro». Lizzani, che con i suoi novant'anni è l'ultimo superstite di quella stagione irripetibile, ha spiegato qual è l'eredità che ha lasciato il cinema neorealista: «Ha inventato il cinema moderno, dando la possibilità di lavorare con una sintassi e una grammatica nuova. Il piano-sequenza ha dato un nuovo modo di esprimersi al regista e la possibilità al pubblico di "navigare" dove vuole». Ha voluto anche sfatare una leggenda: «Non è vero che questo genere è nato solo perché i teatri di posa erano occupati dagli americani e così si doveva girare per strada. È stata una scelta estetica ben precisa». Lizzani considera suoi eredi Marco Tullio Giordana, Giuseppe Tornatore, Matteo Garrone e Paolo Sorrentino e alla domanda se ha dei rimpianti ha risposto: «Avrei potuto girare "Madre coraggio" di Brecht con protagonista Sophia Loren ma, a causa di uno degli eredi di Brecht, si è bloccato tutto. Inoltre, quando ho diretto nel 1973 "Crazy Joe" a Los Angeles, avrei potuto avere Robert De Niro come protagonista e Martin Scorsese come aiuto-regista. Per il resto, non ho alcun rimpianto». Gabriele Antonucci