di Lidia Lombardi Il perfido, imbroglione Don Magnifico-Ruggero Raimondi - il patrigno che rovina la vita alla bella Cenerentola - forse sarà costretto a dare forfait per un piccolo infortunio.

Einfatti Carlo Verdone, chiuso da settimane nei regali palazzi piemontesi per preparare lo spettacolo dall'opera di Gioachino Rossini che andrà in mondovisione domenica prossima, potrebbe dover rinunciare proprio all'unico interprete del quale si è fatto sfuggire il nome, Raimondi appunto, designato nel ruolo del padre snaturato che dissipa la fortuna di Angelina, così come si chiama Cenerentola del libretto di Jacopo Ferretti. Ma lo spettacolo prodotto da Andrea Andermann che segue pari pari la formula eccezionalmente attuata per Traviata a Paris, per Tosca nei luoghi e nelle ore della Tosca e per Rigoletto a Mantova, sarà di quei kolossal superpop di cui Viale Mazzini - in tempi tanto bui - può essere a ragione orgogliosa. Un film in diretta, per il quale la Rai impiegherà 20 telecamere, tre regie in 3D, 300 mila watt di luci, 20 radiomicrofoni per i cantanti, 55 per il coro e l'orchestra. E serviranno anche 40 altoparlanti per «trasportare» - grazie a ponti radio e a collegamenti in fibra ottica - la musica suonata nell'Auditorium ai vari set. Carlo Verdone non è poi un marziano nel ruolo di regista di melodramma. È vero che da giovane ha praticato parecchio Jimi Hendrix, ha rullato i fianchi nelle diavolerie rock e ha martoriato la batteria. Ma è pur sempre figlio del grande storico e critico del cinema, del teatro, del Futurismo, della letteratura e di molto altro che è stato Mario Verdone. Il quale i suoi tre pupilli - come ha rivelato Carlo nell'autobiografia «La casa sotto i portici» - li portava sì la domenica a giocare a pallone al Circo Massimo, ma pure alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna, nelle sale di teatro, di cinema e d'opera. «E poi oltre alla musica delle chitarre elettriche, amo quella di Mahler, Debussy, Ravel e Stravinskij», fa outing Carlo. Lui poi con Rossini si era già cimentato nel 1992 all'Opera di Roma curando la regia del Barbiere di Siviglia. A lui il cigno di Pesaro sta a pennello, parola di Andermann: «La storia di Cenerentola è di quelle tipiche della commedia umana universale e Verdone è, ora, la commedia cinematografica italiana». Il regista ci metterà del suo, «ma per carità, senza stravolgere l'opera. Sarà una lettura tradizionale e rispettosa. Con un taglio cinematografico però, molti primi piani, un dinamismo da commedia, un po' di comicità e qualche tocco di malinconia». La bacchetta sarà quella di Gianluigi Gelmetti, già direttore musicale del teatro lirico capitolino. «È uno spettacolo, non una semplice opera lirica quella che andrà in onda in mondovisione. Privilegiamo perciò interpreti telegenici, giovani, più che i tipici cantanti rossiniani», anticipa il Maestro. Che, tranne il nome del basso Ruggeri che ora sarebbe in bilico, verranno svelati alla vigilia della messa in onda, il 3 giugno su Rai Uno alle 20,30. Lo sfondo è tutto nelle dimore sabaude torinesi. Venaria Reale per la prima parte e la Casina di Caccia di Stupinigi per la seconda, alle 23,30, con la scena del ballo che non c'è ne La Cenerentola ma che nel kolossal televisivo verrà inserito usando la musica di un'altra pagina rossiniana, da Armida. Il giorno dopo, lunedì 4, l'epilogo della «favola in diretta», sempre dalle 20,30. Location, Palazzo Reale, col trono sabaudo sul quale Angelina-Cenerentola - che negli allestimenti lirici più famosi è stata impersonata da Teresa Berganza o da Sonia Ganassi - canterà il brano celeberrimo «Non più mesta accanto al fuoco». Verdone ha lavorato tre mesi nel capoluogo piemontese, mai tanto dinamico negli ultimi tempi, con una Fiera del Libro sempre più ecumenica, un festival cinematografico che guarda in cagnesco quello di Roma, lo splendore di Venaria Reale, le nuove scommesse come la rassegna jazz avviata a fine aprile e dilatata fino a un concertone del Primo Maggio da far invidia a quello di piazza San Giovanni. Stregato da Torino, il divo di Un sacco bello, quanto deluso dalla sua città. A Roma non si riconosce più, ha detto a Sorrisi e canzoni. E lo stesso Woody Allen ha reso irriconoscibile la capitale, trasformandola in una «una cartolina da tabaccai», nella sua ultima pellicola, To Rome with love. Invece «Torino ha i suoi negozietti, i parcheggi sotterranei, una sana voglia di crescere». Il sindaco Fassino esulta, Alemanno incassa.