Ancora giallo Caravaggio

Talvoltasi vogliono sciogliere cercando il clamore. Come l'altr'anno, quando - sull'onda dei 400 anni dalla morte del «pittore maledetto» - si andò a scavare nel cimitero di Porto Ercole, a prelevare ossa, a compararle geneticamente con discendenti dell'artista sepolti nella sua Lombardia, senza cavare nessuna certezza. Ora sugli ultimi giorni del pittore più amato del Seicento tornano ad accendersi i riflettori. Oggi pomeriggio a Ladispoli uno studioso della Università Federico II di Napoli, Vincenzo Pacelli, ipotizzerà, col supporto di documenti ritrovati nell'Archivio Segreto Vaticano, un altro epilogo del «film Caravaggio». Ovvero: Merisi non è morto a Porto Ercole, come attesta un documento già messo in dubbio, perché fissa al 18 luglio 1609 invece che allo stesso mese del 1610 il giorno della scomparsa. E, soprattutto, non è morto per malattia (malaria, sifilide). «Io credo invece - anticipa Pacelli a Il Tempo - che sia stato assassinato, dai sicari di Malta, dove aveva offeso un Cavaliere, e con l'avallo della Curia, che aveva fatto pendere sulla sua testa una condanna di morte per aver ucciso un uomo a Roma, durante una rissa». Pacelli inchioda la storia su una serie di incongruenze. E si basa su una lettera che il Nunzio Apostolico di Napoli, Deodato Gentile, invia al cardinale Scipione Borghese, nipote di papa Paolo V e segretario di Stato. «L'uomo più potente del mondo, un mondo che mandava a morte Giordano Bruno e Beatrice Cenci - attacca Pacelli - Dice la missiva: "Non è vero quanto è stato scritto a vostra signoria circa la morte di Caravaggio...". Si riferisce al fatto che fosse morto a Procida. Invece indica in Porto Ercole il luogo del decesso. Ora, la lettera è datata 29 luglio 1610. Come è mai possibile intanto che si evochi, unico documento al mondo, Procida? E poi, poteva Deodato, dopo soli dieci giorni dalla scomparsa dell'artista, sapere notizie tanto dettagliate? La mia idea è che la lettera sia stata costruita apposta per nascondere la verità. Cioè che Caravaggio fu fatto sbarcare a Palo Laziale dalla feluca con la quale proveniva da Napoli, portantosi appresso tre quadri per il cardinale Scipione. Qui fu imprigionato, ucciso e il suo corpo probabilmente gettato in mare». L'eco degli studi di Pacelli si ritrova in un capitolo del libro che il sindaco di Ladispoli, Paliotta, ha dedicato alla sua città: «Se è vero che il pittore veniva a Roma per ottenere dal Papa il rilascio della grazia, sarebbe dovuto sbarcare a Civitavecchia, il porto della Città Eterna». C'è anche un altro buco nero. «Perché - incalza Pacelli - invece di dirigersi a Roma, se ne andò in direzione Porto Ercole, distante oltre cento chilometri, oltretutto infestati di paludi?». Non è credibile neanche la circostanza che la fuga dal Castello Odescalchi, dove era stato imprigionato, fosse avvenuta perché Caravaggio corruppe le guardie con una forte somma di denaro. «Ve lo immaginate un Merisi che sborsa monete d'oro, lui che era sempre senza un soldo?». C'è un altro mistero, che offende la grandezza dell'artista: non si sa nulla dei funerali, né della sua sepoltura. «Se fosse morto per malattia, il suo corpo sarebbe stato restituito alla sorella, al fratello prete. Invece niente. Una damnatio memoriae che non s'addice a un uomo chiacchierato ma anche famosissimo. E che invece calza con l'ipotesi dell'assassinio e la necessità di far sparire il cadavere».