Quei soldati italiani che a Gela si arresero e furono trucidati

Unaquestione d'onore. Entri a far parte di una storia, ti scrivono i parenti dei caduti, conosci i pochi sopravvissuti, ti rendi conto di un'aspettativa di verità a cui si deve rispondere in qualche modo». Inizia così l'ultimo capitolo del volume di Andrea Augello – («Uccidi gli italiani, Gela 1943, la battaglia dimenticata» Mursia editore, 230 pagine, 16 euro) – che ci racconta un lato fino a oggi oscuro dello sbarco americano in Sicilia alla fine della seconda guerra mondiale. Un capitolo totalmente nuovo in un libro già pubblicato ma che con questa aggiunta apre uno squarcio importante nella ricerca storica che ha condotto il senatore del Pdl: i morti di quella battaglia, dati per «dispersi» ma invece in buona parte fucilati senza un perché dai soldati americani – 70 italiani e 4 tedeschi – dopo quasi sette decenni hanno finalmente un nome e una tomba dove i loro parenti potranno finalmente piangerli. Il lungo elenco è infatti pubblicato nelle pagine del volume. E ieri, durante la presentazione della nuova edizione alla Biblioteca Nazionale di Roma, l'assessore alla cultura della Regione Sicilia ha annunciato che su quel luogo, a Santo Pietro di Caltagirone, il 9 giugno verrà inaugurato un cippo commemorativo che ricorda il loro sacrificio e il loro eccidio. La ricerca – condotta grazie anche all'aiuto degli ufficiali e dei sottufficiali che curano la stesura dell'Albo d'oro dei nostri caduti nella Seconda guerra mondiale, in collaborazione con Onorcaduti – racconta che il 14 luglio del 1943 a Biscari, diventata oggi Acate, un gruppo di militari italiani – in tutto circa 120-150 uomini – che si era opposto allo sbarco americano combattendo per il controllo dell'aeroporto di Santo Pietro venne alla fine costretto alla resa dalle truppe americane. E qui inizia il capitolo più infame e doloroso di quella vicenda che nessun libro di storia ha ancora raccontato. E che anzi demolisce quel clichè che ci ha tramandato una occupazione pacifica della Sicilia da parte delle truppe alleate, anzi aiutate dalla stessa popolazione dell'isola. La verità, o almeno una parte della verità, quella relativa alla battaglia di Gela, è purtroppo ben diversa: «Questo è l'elenco – scrive Andrea Augello – di 68 tra i difensori di Santo Pietro che persero la vita il 14 luglio 1943 e altrettanto certamente tutti, o quasi tutti, morirono inermi, dopo essersi arresi, abbattuto senza motivo e senza misericordia dai soldati della 45ª divisione della Guardia nazionale americana». Dalle ricerche effettuate e dai racconti dei pochi sopravvissuti emerge che quei nostri militari, prima di essere fucilati dai reparti americani, vennero frugati, spogliati e depredati di tutti i loro averi e lasciati praticamente nudi, per lo più in mutande e calzettoni. E molti di loro consegnarono probabilmente anche le loro piastrine di riconoscimento, cosa che ha reso particolarmente difficile il loro riconoscimento. I più giovani avevano poco più di vent'anni, il più anziano 48: tra loro non c'erano ufficiali ma solo militari di truppa. «Guardi le foto che qualcuno ti ha mandato per e-mail di ragazzini di venti, ventuno anni – scrive ancora l'autore del libro – che scherzano scimmiottando pose guerriere con pugnali e moschetti, tra i baraccamenti di una base italiana del lontanissimo 1943. Sono immagini estive di giovani con calzoni militari corti e canottiera, improbabili eppure valorosi guerrieri di una guerra perduta. Capisci che gli hanno tolto molto più della vita: gli hanno tolto tutto, persino il diritto a un nome e a una tomba». Il libro di Andrea Augello indaga anche sui militari tedeschi uccisi in quell'attacco. E fra questi non c'era un soldato qualunque: lì morì Carl Ludwig Long, più noto come Luz Long, medaglia d'argento alle olimpiadi di Berlino del 1936 nel salto in lungo, alle spalle del leggendario atleta di colore statunitense Jesse Owens che dominò le gare olimpiche. I due diventarono amici ma per un destino amaro l'atleta tedesco venne ucciso proprio dai proiettili americani. Secondo il racconto di un sopravvissuto della battaglia Long rimase ferito in combattimento e fu proprio lo stesso testimone a tentare di salvarlo, caricandoselo sulle spalle e portandolo lontano dalla linea di fuoco. «Il testimone racconta però di aver dovuto abbandonare l'ex olimpionico, ormai in fin di vita – si legge – Evidentemente, dopo il rientro nelle linee tedesche, il soldato che aveva tentato di salvare Long non potè dichiarare con certezza di averlo visto morto, perciò alla Luftwaffe non rimase altro da fare che classificarlo come disperso. È invece molto probabile che Long sia morto poco dopo esser stato abbandonato, a causa delle sue gravi ferite. Fatto sta che gli americani lo seppellirono a Biscari».