di Francesco Perfetti La grande offensiva cominciò nel maggio 1967.

Leprime avvisaglie dell'offensiva si erano avute però già qualche tempo prima, quando, nell'autunno del 1965, un altro settimanale, "L'Astrolabio", diretto dal senatore Ferruccio Parri, aveva pubblicato una serie di articoli che mettevano sotto accusa il Servizio Forze Armate Italiane (Sifar) sostenendo che esso, guidato dal generale De Lorenzo, stava svolgendo spionaggio politico e aveva perciò "deviato" rispetto ai compiti istituzionali. La campagna giornalistica del settimanale romano ebbe una vastissima eco nell'opinione pubblica: era quanto mai (e quanto meno) allarmante l'idea, pur non concretata, che i carri armati avrebbero potuto sfilare per le strade della Capitale e che la classe politica avrebbe potuto essere decapitata tre anni prima. In realtà i fatti denunciati dal settimanale romano non avevano nessuna consistenza. Si trattava, in una parola, di una vera e propria "bufala" la quale, però, grazie a complicità mediatiche e a intrighi politici, avrebbe finito, inevitabilmente, per diventare popolare, solleticare la sindrome ricorrente del colpo di Stato, provocare la creazione di commissioni di inchiesta e influenzare perfino la letteratura storiografica. In un saggio dal titolo Piazza Fontana e il mito della strategia della tensione (Lindau, Editore, pp. 312, euro 22) Massimiliano Griner è giunto alla conclusione, rileggendo le inchieste giornalistiche e quel che ne seguì, che le cose stavano in maniera molto diversa rispetto a quella della vulgata dei sostenitori dell'esistenza di una minaccia golpista. Nel 1964 non esistevano né le premesse né le condizioni per un colpo di Stato. Il cosiddetto Piano Solo non era altro che uno studio operativo, peraltro puramente teorico e ritenuto inattuabile persino da chi lo redasse, per garantire una difesa delle istituzioni democratiche in caso di insurrezione. E ciò senza nessuna finalità eversiva. Griner accenna, ritenendola plausibile, all'ipotesi secondo la quale il "caso De Lorenzo" sarebbe stato frutto di una operazione del Kgb portata avanti attraverso un agente operante a Roma sotto copertura giornalistica. Del resto è comprensibile che l'Urss, nel contesto politico del tempo, potesse avere interesse ad avallare l'idea di scenari golpisti in Italia e che, d'altro canto, le sinistre potessero trarre vantaggio, quanto meno per accreditarsi come difensori della democrazia e delle istituzioni democratiche, dalla psicosi del pericolo di una possibile svolta autoritaria. Vittima dell'operazione di destabilizzazione politica e disinformazione giornalistica e mediatica fu, per gli incarichi ricoperti, il generale De Lorenzo. Questi - al quale Virginio Ilari ha dedicato molti anni or sono una approfondita biografia dal titolo Il generale col monocolo (Ed. Nuove Ricerche, 1994) - godeva di grandissima reputazione e prestigio all'interno dell'Arma dei Carabinieri. La sua carriera militare nel secondo dopoguerra toccò il culmine nel decennio 1956-1966: in quest'arco di tempo, infatti, De Lorenzo, promosso generale di brigata nel 1954, ricoprì successivamente gli incarichi di capo del Sifar, comandante generale dell'Arma dei Carabinieri e capo di stato maggiore dell'esercito. Il periodo di permanenza alla guida dell'Arma, iniziato nel 1962, ne segnò, per così dire, la ripresa e il rilancio. Al momento della nomina di De Lorenzo a comandante generale, l'Arma, infatti, attraversava una crisi che si rifletteva sul morale dei carabinieri e che era dovuta, in gran parte, alla sua forzata emarginazione rispetto alla Pubblica Sicurezza cui erano affidate la maggior parte delle operazioni di polizia giudiziaria. I carabinieri, insomma, venivano usati per la raccolta di informazioni e per il servizio di vigilanza nei centri abitati, nei paesi e nelle campagne. In un breve arco di tempo De Lorenzo cambiò la situazione. Senza aumentare l'organico trasformò l'Arma, la modernizzò autonomizzandola dallo stato maggiore dell'esercito e creando al suo interno nuclei specializzati e tecnologicamente attrezzati per indagini scientifiche. La dotò di una brigata meccanizzata che non aveva affatto finalità golpiste od eversive (come qualcuno cercò di sostenere) ma di tutela dell'ordine pubblico e della legalità democratica. Ripristinò, persino, la classica e amata divisa nera che riprese il posto di quella color cachi. La gestione di De Lorenzo, autoritaria ed efficientistica, significò, insomma, per l'Arma l'uscita da una fase di torpore e l'avvio di una fase di rilancio che l'avrebbe resa ben presto una delle istituzioni più popolari. Le due offensive giornalistiche - quella sulle schedature del Sifar e quella sul cosiddetto Piano Solo - erano collegate in un oscuro disegno di destabilizzazione politica fondata sulla tecnica della disinformazione. Non a caso furono, più volte, smontate, o ridimensionate, dalla magistratura nel corso di alcuni processi. Il volume di Griner, in realtà dedicato al più ampio tema della cosiddetta strategia della tensione, contribuisce anche a una rilettura dello scandalo del Sifar e del Piano Solo che porta a una sola conclusione: non vi fu nessun tentativo golpista.