di Lidia Lombardi Il severo edificio di Palazzo Massimo, a un passo dalla stazione Termini, è come un gigante impietrito da un sortilegio.

Unasede carezzata dal rigorosissimo sovrintendente archeologico Adriano La Regina, che tanto lavorò per dare sistemazione ai capolavori di sua competenza, alla fine divisi tra Palazzo Altemps e appunto Palazzo Massimo. Un palazzo ottocentesco di stile rinascimentale, quest'ultimo. In luogo strategico, si pensava: la stazione Termini. Così che anche il viaggiatore di passaggio, con solo qualche ora di sosta a disposizione, poteva avere contezza di quel che Roma era ed è. Si pensava, appunto. Perché invece il Museo resta poco frequentato. Come una bella donna soffocata da troppo clamore intorno. Che è appunto il clamore di piazza dei Cinquecento, il viavai di persone, autobus, automobili, che ne fa un non-luogo. O un luogo non per sostare, ma per andarsene in fretta. Palazzo Massimo invece merita attenzione. Non solo per le bellezze che contiene, ma per le storie che racconta. Degli antichi, dei miti, della filosofia, del teatro, della letteratura che ha formato la nostra civiltà. Sono anche storie del collezionismo. E di avventurosi rinvenimenti. Tutto questo viene in mente visitando il nuovo allestimento di 80 capolavori di Roma repubblicana e imperiale. Pezzi che fanno la storia dell'archeologia, come il Discobolo Ludovisi o la Fanciulla di Anzio. E che da ieri sono sistemati nella sale al primo piano studiate per rilanciarne l'interesse. La direttrice Rita Paris con un progetto costato 300 mila euro ha voluto introdurre colore e luce per i nobili marmi: il pario, il pentelico, il lunense. E il microasiatico, dalla tonalità tra l'avorio e il rosa, perfetto a rendere la pelle di intriganti personaggi, come l'Efebo e la Fanciulla Dormiente trovati nel fosso di Santa Croce a Subiaco. La luce è quella dei led. Il colore è il nero del soffitto e il grigio a due tonalità delle pareti. La sala più grande - dove una volta c'era il teatro del collegio - nei pannelli asimmetrici fa da sfondo ideale al candore delle statue. Il tema è quello delle ville, dei luoghi per gli otia che nei boschetti, negli atri, nei giardini, pullulavano di sculture. Ecco come in una teofania l'Afrodite accovacciata al bagno. Viene dalla residenza di Adriano a Tivoli, è sensuale come una popolana. Ecco l'Apollo Citaredo, dalla Villa dei Quintili. Ed ecco il dio più amato e rappresentato dai romani, quel Dioniso simbolo della rinascita, declinato nel Satiro flautista, nell'Acrobata, negli attori teatrali mascherati. Tra gli altri dei un Apollo ripescato nel Tevere, all'altezza di Ponte Palatino, nel 1891. Da Ponte Garibaldi è stato tirato su - era il 1881 - uno dei pochissimi bronzi esistenti, ed è ancora Dioniso. Una Menade con il capro - altorilievo fitto di panneggi - era mal esposta al Museo delle Terme di Diocleziano. Una Scena bucolica, sempre in quella collezione, è stata tirata fuori dai magazzini. Ancora dal buio del lago di Nemi emergono i resti di due navi. Un video racconta la loro scoperta e una ricostruzione digitale ci dice come erano fatte. L'ultima sala è un golfo mistico. Neri il soffitto e le pareti, luce solo su due vetrine. Quella al centro conserva il Volto d'avorio. Forse rappresenta Apollo, forse Atena. Risale al I secolo avanti Cristo, ricavato da una zanna d'elefante in una bottega romana. Finito sotto terra in una villa romana di Anguillara Sabazia, fu scavato clandestinamente e rivenduto a un trafficante internazionale di reperti archeologici. Era il 1994, il tam tam trapelato dagli stessi mercanti attivò le ricerche dei Carabinieri. Furono consegnati i primi frammenti, un orecchio, una mano, un pezzo di piede. Infine si individuò il volto, finito in mano a due rivenditori di Londra. Nel 2003 si ottenne la restituzione. Ora - perfetto nei lineamenti come una creatura dell'iperuranio - è a Roma. A un passo da chi arriva in città.