Gli Uffizi a Vinceti: «Lascia la Gioconda al Louvre»

Questavolta si parla del ritorno a casa del dipinto a olio su tavola di pioppo, come chiesto attraverso una raccolta di firme internazionale. E anche questa è scoppiata la polemica tra il comitato e gli Uffizi. Se dipendesse dal direttore della Galleria degli Uffizi, la Gioconda a Firenze non ci tornerebbe. «Se me la vogliono imporre qui agli Uffizi bene, lo facciano; se no, io ne faccio a meno», afferma il direttore Antonio Natali. Portare l'opera «qui significa prestarsi al clima culturale di oggi dove conta il feticcio». Ma Vinceti, che vorrebbe esporre la Gioconda a Firenze nel 2013, ribatte piccato: «Queste affermazioni sono un insulto alle 80 mila persone che hanno già aderito alla nostra raccolta di firme per portare a Firenze la Gioconda, a tutti gli storici dell'arte che ad essa hanno dedicato la vita e ai milioni di visitatori da tutto il mondo che sono rimasti incantati dal suo fascino». «Magari c'è la fila di fiorentini che vengono a vederla, gli stessi fiorentini che ignorano che qui da noi ci sono tre tavole di Leonardo. Ma il mio compito è quello di far conoscere non la Gioconda, che è già conosciuta, bensì il resto», spiega il direttore degli Uffizi. «La Gioconda a Firenze - afferma Natali - è una cosa che interessa solo alle tv commerciali, ai giornali commerciali: farla arrivare qua significa cedere il campo a mire che nulla hanno a che vedere con la formazione e la conoscenza dell'arte. Questo non è snobismo ma un principio di educazione: senza contare - rincara la dose il direttore degli Uffizi - che io conosco per lo meno 50 ritratti più belli della Gioconda, di cui tutti si disinteressano perchè, anche per colpa nostra, nessuno li fa conoscere». Secondo Natali, inoltre, sono scarse le probabilità che la raccolta di firme del comitato presieduto da Vinceti abbia successo. Parole che non smuovono Silvano Vinceti: «A Natali dico che le opere d'arte non sono per gli addetti ai lavori, sono per tutti, e il loro valore non è fissato dai direttori dei musei, ma dai fruitori delle opere stesse».