Un incredibile Caravaggio

La montagna ha partorito un altro topolino, a distanza di un anno dal 18 luglio 2010, che, nel giorno della ricorrenza del quarto centenario della morte del Caravaggio, in Porto Ercole, aveva visto il tentativo d'introdurre quale suo inedito capolavoro un "Martirio di san Lorenzo", rivelatosi un dipinto d'attribuzione incerta, tra Tommaso Salini e Juan Bautista Majno. A distanza di un anno, dicevo, abbiamo a che fare con un altro topolino. Un ennesimo Caravaggio, peraltro corredato da crismi filologici, universitari e scientifici. L'annuncio della "scoperta" della prof.ssa Silvia Danesi Squarzina (docente presso l'università di Roma) è stato dato trionfalisticamente dall'inserto "Domenica" del "Sole/24 Ore": "Guardate c'è un nuovo Caravaggio", "Scoperto in una collezione privata spagnola il Sant'Agostino che Michelangelo Merisi realizzò per il marchese Vincenzo Giustiniani. Sempre citato dalle fonti, il quadro era sparito nell'Ottocento". In queste poche righe ci sono già alcune inesattezze (al di là dell'attribuzione che già a uno sguardo superficiale risultava inverosimile): per quanto riguarda il dipinto in oggetto non ha una recente provenienza spagnola, bensì inglese; che sia stato commissionato direttamente al Caravaggio dal marchese Giustiniani non trova supporto in nessuna prova filologica, al pari della sua citazione nelle "fonti", certamente non in quelle biografiche canoniche (Mancini, Baglione, Bellori). Forse, ma non è certo che l'opera sia quella, negli inventari delle raccolte Giustiniani redatti da notai e relativi assistenti in occasione della morte dei relativi proprietari. Quindi, alquanto approssimativi, circa le attribuzioni, se non riportabili a date limitrofe all'esecuzione delle opere stesse (donde se ne era mantenuta in memoria), o della scomparsa dell'autore. Nel caso del Caravaggio si presumono utili gl'inventari databili all'incirca entro la metà del Seicento. Il 1638, data in cui apparirebbe il "Sant'Agostino" Giustiniani può essere considerata valida: "Nella stanza Grande de' Quadri Antichi", al n°4 "Un quadro di una mezza figura di S. Agostino dipinto in tela alto pal.5 larg.4 in circa di mano di Michelang.o da Caravaggio con sua cornice nera". La Danesi Squarzina, studiosa degl'inventari Giustiniani e, come detto, sostenitrice dell'autografia del "Sant'Agostino" in questione, ne riporta le misure pari a cm 120x99, alquanto vicine rispetto a quelle, in palmi romani (pari a cm 22,34) dell'inventario: vale a dire cm 122,87x100,53. Nondimeno, al di là di tutti i riferimenti filologici, l'ultimo e unico documento è l'opera stessa che, nel caso in esame, non è credibile quale originale del Caravaggio. L'opera è di buona qualità e presenta valenze stilistiche peculiari degli artisti, attivi a Roma, aderenti alla rivoluzione della "pittura secondo natura", chiaroscurata e drammatica, del Caravaggio. Il "manifesto" reca la data dell'anno giubilare 1600, col "ciclo di San Matteo" in San Luigi dei Francesi. La pretesa che vorrebbe tale commissione supportata dai fratelli Giustiniani, il cardinale Benedetto e il marchese Vincenzo, è un clamoroso falso storico. L'appoggio del primo, potente, patrocinatore del Caravaggio, il filofrancese cadinal Francesco Maria Bourbon del Monte, è indubbio, mentre inverosimile (oltreché indimostrabile) quello dei fratelli Giustiniani, accaniti filospagnoli(!). Il "Sant'Agostino" presenta molti caratteri tecnici affini a quelli del Caravaggio, ma la maggior parte gli è estranea: un eccesso d'elementi secondari (quali la libreria nello sfondo) invade la composizione, mentre la mitria vescovile esula dalla sua visione (Caravaggio esclude in prevalenza gli attributi), mentre la trama luministica non appare affatto determinante per la struttura dell'immagine della narrazione che orecchia originali come il "San Gerolamo scrivente", della romana Galleria Borghese, senza che se ne percepisca lo stacco acronico tra l'immanente presenza del protagonista e la dilatazione del suo gesto nello spazio illusorio. Come detto la fede politica filospagnola dei Giustiniani ne giustifica la dimestichezza con artisti di tale area: dal Caravaggio, suddito del feudo iberico di Lombardia, al Ribera nei suoi giorni romani (ma certamente non si tratta del pittore cui si è attribuita una vera è propria antologia di quadri eterogenei, a partire dal "Giudizio di Salomone" della Borghese agli "apostoli" di Casa Gavaotti). Anche l'autore del "Sant'Agostino" è legato ai filoiberici marchesi Crescenzi e rientra in questa categoria. Si tratta, a mio avviso, del viterbese Bartolomeo Cavarozzi (Viterbo, 1590 c / Roma, 1625), a lungo attivo in Spagna, al seguito del marchese Crescenzi che svolgeva incarichi d'architetto per re Filippo III. I riscontri tecnici col primo Caravaggio (specie se mediati dalla raffinata estetica di Orazio Gentileschi), sono inequivocabili e ciò coincide coi "pentimenti" e quant'altro evidenziato dalle indagini radiografiche. Il Cavarozzi dipinge, inoltre, per la corte granducale fiorentina. Ricordo il "San Gerolamo scrivente con due angeli" (Firenze, Depositi delle Gallerie) compresa la replica autografa, con minime varianti, in collezione privata, di Cesare Dandini, che realizza entrambe nel 1631, per Don Lorenzo de' Medici, il quale le destina alla Villa della Petraia.