Scuola pubblica ma anche libera

Soltantoqualche imbecille, a corto di argomenti, potrebbe concludere che Berlusconi abbia voluto bandire l'istruzione statale. Probabilmente le sue parole hanno ingenerato qualche equivoco, ma non possono autorizzare nessuno in buona fede a ritenere che il premier di un governo che ha appena varato una riforma dell'Università che fa giustizia della quarantennale storia dell'ignoranza e della demagogia legalizzate, abbia intenzione di demolire la scuola di Stato. Egli ha semplicemente detto che, come in tutti i Paesi occidentali, anche in Italia deve esserci libertà di insegnamento. E, dunque, la possibilità che i genitori iscrivano i figli negli istituti privati atti a rilasciare titoli ed attestati validi come quelli conseguiti nella scuola pubblica. Dov'è lo scandalo, posto che da tempo immemorabile la parificazione scolastica connota il nostro sistema educativo e si deve proprio a quel Giovanni Gentile, impropriamente chiamato in causa, che con la sua riforma del 1924 riconobbe alle scuole cattoliche (non c'era ancora stato il Concordato) l'idoneità ad istruire come quelle dello Stato. Se qualcuno poi si è sentito offeso per l'intemerata anti-ideologica di Berlusconi, possiamo comprenderlo, ma non dargli ragione. Non è forse vero che nella maggior parte degli istituti lo studio della storia, della filosofia, della letteratura ha una connotazione finalizzata ad orientare lo spirito critico secondo la vulgata marxista o almeno relativista? Scopriamo ora l'indottrinamento attraverso libri di testo che hanno inculcato nei ragazzi una concezione distorta dell'evoluzione del pensiero non di rado mettendo in discussione la religione non come fede, ma come aspetto primario della cultura dei popoli? Ci meravigliamo ancora se quella che una volta veniva chiamata egemonia gramsciana oggi è semplicemente egemonia nichilista? E perché, se questo è, non lo si dovrebbe denunciare? Dalla metà degli anni Sessanta il riformismo scolastico è stato caratterizzato dal livellamento culturale degli alunni e da una politica keynesiana dell'occupazione per gli insegnanti. Un'inversione della rotta, ancorché tardiva, credo sia necessaria come sanno coloro che l'avversano immaginando di continuare a lucrare sul populismo e sull'ignoranza finalizzata al controllo della società. Nel tempo dell'innovazione necessaria c'è bisogno del concorso di tutti, a cominciare dalle istituzioni formative pubbliche, per far crescere una società come la nostra terribilmente arretrata. Se all'istruzione ed alla ricerca possono dare un contributo decisivo anche i privati, non si capisce perché lo Stato dovrebbe respingerlo. Dopotutto, la cultura non ha colore politico a meno che non glielo si voglia dare per riportare in auge un organicismo intellettuale che è stato fonte di colossali disavventure nel recente passato.