Le cinque dita per mano di un poeta

Lapoesia diviene in Alessio Buzzelli qualcosa di non ben identificato, ma che non perde forza ed eleganza. La prima raccolta di poesie di Buzzelli "Il plurale di dito è mano" è edita da Albatros (124 pagine, 11,50 Euro) e si dimostra subito un esordio azzeccato. Di questi tempi la prima tra le arti dello scrivere è stata fin troppo bistrattata, tante volte messa in mani di pseudo poeti che fanno della lirica una targhetta da curriculum e non una ragione di vita. Per Buzzelli è diverso. Forse per la sua età, quasi ventiseienne, che rende la poesia, se pur a volte acerba, sempre vera esclusiva e sintomo di una vita d'artista quasi bohemien. Cinque capitoli come le dita di una mano che riflettono la struttura numerica Pitagorica, in un gioco di parole e situazioni che prende vigore con lo scorrere dei versi. Tanti i richiami ai grandi artisti del passato, un po' per piacere, un po' per reverenza, un po' per dare forza, ma risultano in ogni caso superflui, perché la poetica di questo giovane autore vibra sola e resta a galla nella memoria e nelle sensazioni che portano il lettore ad emozionarsi e a sorridere di fronte ad un destino cinico e baro. Nessuna reverenza nei sessantasei componimenti messi nero su bianco dall'autore, anzi arroganza, letteraria si intende, e carattere degni di ben altra esperienza. Insomma, leggere e rileggere fino a passare a mente le poesie i Bozzelli non è un atto formale, ma un desiderio che nasce naturale e così non ti può non saltare alla mente la bella "RI-SENTIMENTO". Il titolo non inganna, la lirica si fonde, pare prima cattiva, poi dolce e infine crudele, così recitandola: «Mi hai insegnato/la resa/l'orgoglio che paralizza/la debolezza delle parole» questi i primi versi che si trasformeranno in un finale di dolore amoroso che non conosce reazione, se non l'accettazione e la rassegnazione. Temi vivi, sempre, quelli che Buzzelli sviscera tra le note delle sue parole a cui lui dà il valore di una vita così come fece, quando presentandolo alla casa editrice scrisse come incipit: «Non c'è molto da dire o forse ce n'è troppo. In tutti i modi. Ho inserito le poesie senza alcun criterio né cronologico, né tematico né di valore (e come potrei?). Ad alcune di loro non è stato dato il peso d'un titolo. Ho avuto paura i commettere qualche ingiustizia. Allo stesso modo ad altre non è stato dato il peso ancor più grave della punteggiatura. Ho avuto paura di commettere ingiustizie ancor più gravi. Vi si possono incontrare Giordano Bruno, Bergman, Breton, Brecht, Beckett, Buzzelli. Ma solo se si vuole. Sono sessantasette poesie. Ecco tutto. Questa roba è semplicemente tutto quello che ho, esattamente come ce l'ho». Dice tutto anche di più. Un uomo, un'artista con tante paure, ma col coraggio della poesia.