Via un altro po' di Craxi

A chi ha conosciuto e frequentato Bettino Craxi dandogli e ricevendone stima e amicizia, sia negli anni del potere e del successo sia in quelli della disgrazia e dell'esilio, non può che procurare un certo senso di pena la notizia dell'asta alla quale è destinata la sua collezione di cimeli garibaldini, tele, incisioni e altri oggetti d'arte. Non serve ad alleviare questa delusione il fatto che tutto avvenga d'intesa tra la vedova e i due figli di Bettino, che avevano accettato con la formula del beneficio d'inventario, comprensibilmente imposta dalle condizioni giudiziarie del loro congiunto, quel "tesoro" sequestrato nel 1997 dalla Guardia di Finanza nel porto di Livorno, mentre se ne tentava la spedizione al suo rifugio tunisino, e messo due anni dopo sotto vincolo delle Belle Arti.   Sembra quindi destinato a disperdersi, salvo che l'asta non riservi sorprese, un altro pezzo, fra i più intimi e suggestivi, della storia del mio caro amico Bettino. Di cui conoscevo e comprendevo a tal punto la passione per la storia di Giuseppe Garibaldi, e la ricerca di oggetti che gli erano appartenuti o lo potevano ricordare, da cercare ogni tanto di assecondarlo. Ricordo che una volta mi capitò di vederlo a distanza in via dei Coronari entrare da un antiquario, che peraltro conoscevo perché eravamo vicini di casa all'Argentario, e uscirne dopo quasi mezz'ora a mani vuote. Incuriosito, m'infilai poco dopo nel negozio e chiesi al titolare che cosa fosse andato a cercarvi così a lungo Bettino.   Appresi che egli era stato attratto da un busto in terracotta di Garibaldi scolpito da Ximenes, autore di tantissime statue dell'eroe dei due mondi. Se l'era visto e rivisto, davanti e di dietro, e persino accarezzato. Ma non l'aveva acquistato perché non era riuscito a spuntare il prezzo che voleva, per quanti sconti gli avesse proposto l'antiquario. La cifra del busto in effetti era alta, ma non mi parve spropositata, per cui decisi di acquistarlo per regalarglielo in occasione del vicino compleanno. Me lo caricai personalmente in macchina e me lo portai a casa, dove scatenai - chissà perchè - le ire del mio cane. Che gli abbaiò a lungo. E riprese a farlo anche il giorno dopo, per cui accelerai la consegna del regalo, senza aspettare la data precisa del compleanno. Ed ebbi la sorpresa, nel portarglielo di persona, di trovare Bettino alle prese con un cofanetto che aveva appena ricevuto e la cui apertura lo rese felice come un bambino. Esso conteneva un biglietto autografo di Garibaldi che Giovanni Spadolini gli aveva voluto regalare prelevandolo da una sua collezione, che Bettino qualche mese prima aveva avuto modo di ammirare, ed anche di invidiargli, mi confessò. I due, in verità, non si amavano granchè ma sapevano alternarsi sapientemente dispetti e cortesie. Anche al "mio" Garibaldi il povero Bettino fece festa, riconoscendolo subito per quello che aveva visto e inutilmente negoziato in via dei Coronari. Capì subito quanto lo avessi pagato, dando per scontata la mia incapacità di strappare un prezzo migliore di quello da lui rifiutato e facendomi un affettuoso cazziatone per avere ceduto a quell'"avido" venditore. Quella dei cimeli, non solo garibaldini, era per Craxi più ancora di una passione. E anche più di una mania. Egli era portato a fissare in qualche modo il ricordo di qualsiasi cosa avesse avuto la possibilità di vivere e condividere. Anche le foto dei suoi incontri politici o mondani diventavano per lui cimeli, che recuperava e riproponeva al momento giusto. Ne ricordo una con Diana d'Inghilterra, ripresa quando egli era presidente del Consiglio, che lui mi spedì da Hammamet, con una frase di ricordo e di omaggio per la principessa appena morta a Parigi in circostanze drammatiche. Sempre ad Hammamet, dove si consumava quella sua strana "latitanza", della quale tutti conoscevano indirizzo e numeri di telefono, tanto che i magistrati di Milano riuscivano a controllarli, Bettino trasformò in cimeli del suo esilio, e della morte che gli si avvicinava, i vasi che dipingeva con filamenti di colore bianco, rosso e verde. Li chiamava "L'Italia che piange".