La verità sul 25 Luglio

Mercoledì6 Luglio 1966 «Finalmente, uno che viene dall'Italia a domandarmi che cosa mi disse Mussolini la mattina del 25 Luglio!» Magro, sottile, sorriso malinconico, il barone Shinrokuro Hidaka mi aspetta. (...) Lo interruppi: «(...) Perché Mussolini avrebbe taciuto al Re una scadenza che aveva fissato per un suo messaggio che doveva raggiungere Hitler tre giorni dopo? Oppure il Re liquidò quanto Mussolini non poteva non avergli detto? O lo giudicò un trave escogitato all'ultimo momento, a cui aggrapparsi? O valutò che fosse ormai troppo tardi per disfare la trama della congiura, meglio, del colpo di stato militare, già arrivata troppo avanti?». Roma, Giugno 1943 «È una storia che mi son fatto e rifatto tante volte», riprende Hidaka, «in tante ore tristi e vuote... Ero arrivato a Roma alla fine del Giugno 1943, avevo chiesto un'udienza del Duce da quasi un mese. Ricorderete che dal Febbraio, quando aveva mandato Ciano all'Ambasciata presso il Vaticano, Mussolini era anche il Ministro degli Esteri, il mio ministro, non potevo accontentarmi di Bastianini; oltre a tutto, avevo un messaggio personale e riservatissimo, non diretto al Ministro degli Esteri italiano, ma a uno dei tre capi del Tripartito. Dopo il convegno di Feltre, mi giunsero precise indicazioni del mio Primo Ministro, il generale Tojo. (...) Non dovevo più soltanto chiedere notizie sulla situazione italiana, c'era ben altro. A posteriori, quell'udienza può apparire, come fu, d'importanza limitata... il colpo di Stato, il governo Badoglio, l'orribile Settembre, la resero un'ipotesi mancata, inutile indagare. Ma per la storia in farsi, bisogna distinguere. È vero che fu l'ultima udienza che Mussolini concesse come Primo Ministro prima di andare a Villa Savoia dove il suo Re lo fece arrestare. Ma per la grande storia, come la chiamiamo noi giapponesi, quando si farà e se si farà, vorrà dire che Mussolini aveva ripreso il timone... Al Re disse certamente quanto aveva detto a me quattro ore prima...» (...) «Verissimo che il Duce era perfettamente calmo, che non fece allusione alla seduta nella notte... Quale stile, aver taciuto con Bastianini, il suo sottosegretario, che nella congiura dei fascisti, traditori e poi traditi dopo tante illusioni (chissà che cosa gli avevano fatto credere...) gli aveva votato contro. Sempre, quando ci ripenso, lo ammiro. Che non ne dicesse una parola con me, mi meraviglia meno. Con me, straniero, gli repugnava parlare dei contrasti e controversie domestiche. Mussolini svaluta il Gran Consiglio «Non v'è dubbio, dava alla seduta notturna un'importanza molto minore di quella che poi prese. Non parlò di rimaneggiamenti nel governo, nel partito, niente. Desiderava liberarsi di faticose responsabilità personali, lasciare alcuni dei ministeri che teneva. Non sospettava quanto stava per capitargli. Contava sull'appoggio del Re, e con buona ragione. Il Re non poteva non appoggiarlo; se Mussolini gli aveva detto quel che avevo sentito io, che entro mercoledì (il 25 Luglio era domenica) avrebbe fatto consegnare al Führer “una nota molto recisa”. Con quella decisione Mussolini aveva scavalcato di colpo la congiura militare che lui ignorava, ma il Re conosceva punto per punto, il suo consenso all'arresto aveva appena saldato l'ultimo anello... Tutto quanto i militari vociferano da allora, la voce grossa con Hitler, gli enormi aiuti-pretesto da chiedergli, minacciare l'uscita dall'alleanza, lui l'aveva già fatto, e ora lo riferiva. I militari non potevano saperlo, ma il Re, in quell'udienza, lo seppe». «Badate bene, Buscaroli, l'aut-aut alla Germania era già lanciato. E sapete perché ne sono sicuro? Perché quando il Duce andò a Villa Savoia, alle 17, io avevo già telefonato al mio collega von Mackensen, che entro mercoledì Berlino avrebbe ricevuto una nota... Messi in allarme dai continui scricchiolii che giungevano dalla struttura politica e militare dell'Italia, ci eravamo accordati, Mackensen e io, di scambiarci ogni informazione. Mi aveva chiamato la mattina, prima che io andassi a Palazzo Venezia, per dirmi che il Duce gli aveva telefonato, aveva in pugno la situazione e non c'era ragione di allarmarsi. Il mio collega tedesco non era molto fortunato, ma questa volta... Mackensen cercò invano il suo Ministro per tutta la mattina, e quando l'ebbe al telefono, nella serata, non poté dargli le tranquillizzanti informazioni per cui l'aveva cercato tutto il giorno; gli avevano appena comunicato l'arresto di Mussolini...» «L'aut-aut» con Berlino era già per la sua strada «Ora ascoltatemi bene, caro amico: il chiarimento tra Roma e Berlino era già per la sua strada, nessun ripensamento poteva fermarlo, avevo avvertito Mackensen, e certamente Mackensen lo disse a Ribbentrop, ma ormai, dopo la notizia dell'arresto, come notizia risibile, non avverata. Perciò, ecco la verità che affido a voi: facendo arrestare Mussolini, il Re, Acquarone e i militari impedirono a Mussolini di portare a termine ciò che aveva intrapreso, smentendo lo scetticismo dei generali e di Grandi; tutta gente che, davanti all'identica necessità, non seppe altro che squagliarsela a Ortona, nascondersi nei conventi e nelle ambasciate. Per tenerli a bada, come sempre dissero, avevano riempito l'Italia di nuove divisioni tedesche, e quando Eisenhower li chiuse in trappola annunciando la resa, fu la catastrofe, la fine delle Forze Armate e la doppia occupazione dell'Italia ormai res nullius. E infine, la guerra dei comunisti, che volevano una loro voce in capitolo, non l'avevano mai avuta e ora se la presero, un attentato dopo l'altro, una rappresaglia dopo l'altra. I fascisti del Gran Consiglio non sapevano a quale montagna di munizioni davano fuoco: il Re e Badoglio, Acquarone e i generali afferrarono, come un dono di qualche provvidenza, quello che era appena un fiammifero acceso, e dettero fuoco all'intera polveriera. Loro e soltanto loro, è la colpa dell'immenso disastro. Se l'Italia avrà mai più una storia, dovrà maledire quella gente, nei secoli dei secoli».