L'idealista dipinto di rosso

Uno sente Oliviero Diliberto dire che «è scomparso un grande intellettuale comunista» e pensa che c’è qualcosa di storto. Chi ha un po’ di amore per la letteratura, dovrebbe augurarsi che di José Saramago l'unico autore portoghese ad avere vinto il Nobel per la Letteratura, scomparso ieri a 87 anni - rimangano soltanto i libri, i romanzi come Cecità e il Vangelo secondo Gesù Cristo e sparisca invece l'eco delle polemiche, delle invettive continue, degli appelli e della militanza politica. Ma proprio la storia letteraria insegna che cose del genere non avvengono quasi mai, soprattutto quando gli scrittori hanno fatto della politica una fede e a tratti un'ossessione. Così era José Saramago, comunista fedele sin dal 1969 nel Portogallo di Salazar. Non si accontentò di veder cadere una dittatura vera. Preferì – potenza della creazione letteraria – inventarne altre: quella capitalista degli Stati Uniti e di George W. Bush, il peggiore dei presidenti, uomo di «ignoranza abissale» e «intelligenza mediocre». Quella di Israele che ha superato i «maestri» nazisti nell'oppressione della Palestina, mettendo in atto un vero e proprio genocidio. Quella esercitata sul nostro Paese («paese della mafia e della camorra») da Silvio Berlusconi, «capo mafia», «virus», «delinquente». Padrone di un popolo italiano «indifferente a qualsiasi considerazione di ordine morale». E allora succede che anche libri strepitosi - i capolavori di uno scrittore definito dal più grande dei critici letterari, Harold Bloom, «uno degli ultimi titani di un genere letterario in estinzione» - finiscano sepolti dagli appelli, dalle polemichette sterili che animano i salotti, dall'arruolamento nelle truppe del progresso e del Sol dell'Avvenire. Certo, la militanza politica aiuta ad avere successo, a farsi notare, a vincere il Nobel anche (nel 1998), visto che l'Accademia di Svezia ha un debole per chi odia gli Usa e vorrebbe estirpare il capitalismo dalla faccia della terra. Però l'erba cattiva soffoca anche quella buona, ottima. E dunque non è possibile pensare al Memoriale del convento, romanzo del 1982 che valse a José la celebrità internazionale, senza venire travolti dalla vicenda di Il Quaderno, ovvero il volume che raccoglie gli articoli apparsi sul blog di Saramago tra il 2008 e il 2009. Perfino Umberto Eco, nella prefazione, non se la sentì di difendere il suo amico portoghese e la marea di rabbia che portava con sé. Una rabbia che ha un colore: rosso. Quel libro, dove si diceva appunto che Berlusconi è un mafioso, fu rifiutato da Einaudi. Metà dei giornali italiani, dall'Espresso al Fatto, gridò che il grande scrittore era stato censurato dal perfido Silvio da Arcore e poi le storie solite sul fascismo che avanza e bla bla bla. La tiritera è ricominciata quando Saramago ha pubblicato Caino, tradotto da Feltrinelli, romanzo che è una stilla di livore contro la Chiesa, altro storico bersaglio del lusitano dalla penna feroce. Anche qui, i progressisti di tutti i continenti l'hanno portato in trionfo: "Ecco finalmente quello che dice le verità scomode di cui tutti hanno paura". Non si accorgevano che Saramago si stava intruppando per l'ennesima volta, saliva sul carrettino dei Dario Fo, delle Inge Feltrinelli, degli Antonio Tabucchi, degli engagé mai stanchi. I quali ieri hanno pianto il compagno scomparso, cogliendo l'occasione per farsi pubblicità e ripetere che il Cavaliere è un tiranno (vedi Dario Fo). Tanto per citarne un'altra: Saramago fu tra i firmatari dell'appello a sostegno proprio di Tabucchi, che sarebbe stato “perseguitato” da Renato Schifani, il quale – vero fascista! – voleva impedirgli di fare domande scomode sul suo passato. Peccato che le “domande scomode” fossero accuse immotivate di rapporti con la mafia. Ma sono particolari, e ai grandi intellettuali i particolari non interessano. Loro guardano all'assoluto, alle idee pure e incorruttibili, al comunismo tanto amato da Saramago. Sarà per questo che, quando se ne vanno, li guardiamo dal basso e lì vediamo là in cima, in piedi sulla pila dei loro libri, delle loro petizioni e dei loro appelli. E ci sembrano uomini piccoli piccoli, come tutti gli altri.