Quando la Musica ritrova la magia come al Folkstudio

Illocale (che poi si trasferì a Monteverde e infine a Monti) si chiamava Folkstudio, la sua anima era Giancarlo Cesaroni. Una sera - doveva essere il 1962 - ci capitò quasi per caso un tizio chiamato Bob Dylan. Non era lui il nome in cartellone, non era neppure un nome, ancora. La gente continuò a chiacchierare, a bere: c'era chi distrattamente ascoltava, mentre nell'aria cominciava ad effondersi una sorta di impalpabile magia, che tra quelle mura sarebbe rimasta, senza che nessuno la cacciasse all'ora di chiusura. Al Folkstudio i cantautori emergenti degli anni Settanta si fecero le ossa, alba dopo alba. I "quattro ragazzi con la chitarra e un pianoforte sulla spalla" immortalati da Venditti in un verso di "Notte prima degli esami" erano lo stesso Antonello, Francesco De Gregori, Ernesto Bassignano, Giorgio Lo Cascio. Tra bicchierate, accordi, ribalderie, idee da rovesciare come guanti, nasceva un comune sentire, il progetto folle ed estemporaneo di inventarsi di sana pianta la nuova stagione della musica pop italiana. C'erano Rino Gaetano, Mimmo Locasciulli, Edoardo De Angelis, Renzo Zenobi, Stefano Rosso, Paolo Pietrangeli: protagonisti di un "genere" autoriale a tratti impegnato (come si conveniva allora), in altri casi immaginifico, poetico, perfino criptico. Quei giovani ebbero la fortuna di presentarsi in un momento in cui l'industria discografica aveva risorse e coraggio: alla Rca di Via Tiburtina si stampavano dischi di esordienti, ma alle loro spalle c'erano produttori, arrangiatori, manager che credevano nel rischio creativo. Oggi per chi vive della "dannazione" della musica non c'è più spazio: si può sperare nei talent-show televisivi, ma dopo sei mesi finisci nella pattumiera dell'oblio. Però gli ardimentosi non mancano: spesso si autoproducono i propri cd, senza un'etichetta alle spalle. Si consumano cuore e scarpe nella gavetta di serate dove a volte il pubblico si conta sulle dita di una mano, e non necessariamente ha voglia di ascoltare. Sanno che bisogna mettercela tutta, sperare che l'urgenza di chi suona possa essere accolta, condivisa, premiata. Ci è capitato di appassionarci alla ricerca di queste "eccellenze" semiclandestine. Settimana dopo settimana, tra le mattonelle benedette del N'Importe Quoi. È stato come dipanare il fil rouge lunghissimo dietro cui si cela la "nuova scuola romana" del pop. Ragazzi mossi dal sacro fuoco e dalla sacrosanta ostinazione di chi non potrebbe far altro. Artisti maturi e versatili, in molti casi di gran lunga più interessanti di quelli che occupano l'hit parade. Li abbiamo incalzati, a volte spiazzati, chiedendo loro di raccontarsi e di offrire canzoni spogliate di ogni trucco, nella nudità delle versioni unplugged. E ne è uscita, sempre, la luminosa verità della Musica.