Quirinale in mostra

Il Quirinale svela i suoi tesori in un contesto eccezionale, la Galleria di Alessandro VII Chigi che corre nell'ala dell'edificio prospiciente la piazza. Contenuto (le opere d'arte) e contenitore (il palazzo) dialogano sotto il segno della bellezza, in una gara alla pari. E il Presidente Giorgio Napolitano «rafforza la sua volontà di aprire sempre più il Palazzo alla gente, senza barriere istituzionali», come ha detto Louis Godart, Consigliere del Presidente per la Conservazione del Patrimonio Artistico. L'occasione sarà offerta a tutti da domani e fino al 30 giugno con la mostra «Giuseppe negli arazzi di Pontormo e Bronzino. Viaggio tra i tesori del Quirinale» organizzata da Alessandro Nicosia. Per celebrare un restauro durato quasi trent'anni ed ora giunto alla sua fase conclusiva sono esposti i capolavori della collezione di 260 arazzi del Quirinale: dieci dei venti con le «Storie di Giuseppe» che tra il 1545 e il 1553 Cosimo I de' Medici commissionò agli artisti più importanti dell'epoca, i manieristi Pontormo e Bronzino. Gli arazzi, in lana, seta, argento e oro, andarono a decorare 400 metri quadri di pareti della Sala dei Duecento in Palazzo Vecchio a Firenze. Ed ottima scelta è quella di presentare una grande ricostruzione virtuale della Sala, dove ora restano i dieci arazzi di proprietà del Polo museale fiorentino. Entrando nella Galleria di Alessandro VII si è sopraffatti dalla bellezza totalizzante di luogo e opere. Agli arazzi si affiancano una trentina di capolavori che ripercorrono la rappresentazione letteraria e figurativa della storia biblica di Giuseppe. Uno per tutti: il Cammeo in Sardonica con «Giuseppe trattiene Beniamino», di manifattura siciliana del 1240, prestato dall'Ermitage di San Pietroburgo. Ma per capire il clima raffinatissimo, chiuso in un sogno di bellezza quasi raggelata, della corte di Cosimo I non si possono trascurare i due ritratti che il Bronzino dedicò allo stesso Cosimo in armatura, con una mano affusolata e quasi marmorea che richiama più un dandy che un guerriero, e a sua moglie Eleonora di Toledo con il figlio Giovanni. Del resto alla dinastia medicea piaceva la storia di Giuseppe, l'eroe buono che riesce a sfuggire ai fratelli invidiosi e a conquistarsi una posizione importante accanto al faraone contando solo sulle proprie doti intellettuali: appariva come una metafora delle alterne fortune della loro famiglia. Ma Cosimo I lasciava spazio anche ad una buona dose di humour sorridendo quando Jan Rost, uno dei due maestri fiamminghi che tramutarono in arazzi i cartoni degli artisti, firmava le proprie opere con l'immagine di un pollo cotto allo spiedo, giocando sull'assonanza fra Rost ed arrostire. Stimolante la scelta di mostrare i lavori in progress: accanto agli otto arazzi già restaurati ne viene esposto uno sul quale l'intervento è in corso ed un altro ancora da restaurare. E' impossibile non ammirare il talento con cui gli arazzieri fiamminghi hanno saputo rendere i cangiantismi ideati da Pontormo. Roba da stropicciarsi gli occhi.