Mario Bernardi Guardi Piccola ma bella, la casa editrice Cantagalli è nota da decenni per il fermo e fiero ancoraggio alla tradizione cattolica.
DellaCantagalli questo studio di Giuseppe Parlato "Mezzo secolo di Fiume. Economia e società a Fiume nella prima metà del Novecento" (pp. 210, euro 14,90), che inaugura la nuova collana "I fatti e la storia": un titolo che, richiamando una vecchia collezione dell'editore Bonacci, diretta da Renzo De Felice, vale come omaggio allo storico reatino, ad ottant'anni dalla nascita, e come impegno a seguire la sua lezione di coraggio civile e di rigore scientifico. E non dimentichiamo che De Felice con "D'Annunzio politico 1918-1938" (Laterza, 1978), è stato tra i primi a prendere in considerazione il Vate non solo come "Giovanni Battista del Fascismo", ma anche come una personalità politicamente "trasversale". Su questa immagine di una Fiume "città di vita" dove il movimentismo combattentista e futurista, libertario e fascista, partorirono "di tutto e di più" in termini di ebbrezza ideale e di sfida contestatrice, si sono poi mossi in molti, investigando sui documenti e ricreando atmosfere. Lo studio di Giuseppe Parlato offre un quadro compiuto e "motivato" (lo scavo nei documenti è puntuale, la riflessione è pacata, il giudizio, storico e non ideologico, è frutto dell'accurata ricostruzione degli eventi) della realtà fiumana nei primi cinquant'anni del Novecento. Si parla dunque della città come "corpus separatum", aggregato alla corona ungherese e modello di autonomismo fino alla Grande Guerra; della peculiarità dell'irredentismo locale che, pur accesamente filo-italiano, avrebbe voluto conservare le antiche prerogative del libero comune; dei numerosi e conflittuali "scenari" scaturiti dalla Grande Guerra; dell'impresa dannunziana nata sull'onda del patriottismo e dell'irredentismo, e poi sempre più caratterizzata in termini di sfida "impolitica" e di "festa della rivoluzione"; dell'annessione all'Italia e del Ventennio; di una Fiume all'inizio in grande affanno per la crisi delle attività portuali, per i rapporti tutt'altro che facili con la Jugoslavia e l'Ungheria, e per le contese spesso aspre tra il "suo" fascismo erede del movimentiamo dannunziano, dunque libertario e rivoluzionario, e quello romano "normalizzatore" e sempre più conservatore e autoritario. Anni difficili, dunque, ma resiste la passione italiana della Città di Vita, che vedrà il triennio 1934-1936 come il definitivo passaggio a un periodo di sviluppo e di benessere, determinato, tra l'altro, dal processo di razionalizzazione industriale realizzato dall'Iri, dai contraccolpi positivi della guerra d'Africa (crebbero le commesse per le varie industrie meccaniche e il numero degli addetti nei cantieri navali), dall'avvio di un'efficace politica di opere pubbliche.