Dario Salvatori Tre febbraio 1960.

FredBuscaglione era al volante della sua Thunderbird rosa confetto. Sicuramente fischiettava piano, come faceva sempre quando guidava: un po' di jazz e non «Eri piccola». La Thunderbird, decappottabile, parafanghi cromati, interni crema, viaggia a cento chilometri l'ora. Fred Buscaglione, il cantante italiano più anticonformista, aveva passato la serata e gran parte della notte ad una festa, in casa di amici. Era già a poche centinaia di metri dall'Hotel Rivoli, ai Parioli, in cui abitava. Aveva bevuto qualche "facile", così chiamava i bicchieri di whisky, ma non troppi: da qualche tempo stava riguardato. «L'alcool fa ingrassare», diceva. Era ossessionato dal timore della pinguedine. Era bella Roma nel risveglio, sotto il cielo appena grigio. Da una trasversale di via Rossini la morte sbucò d'un tratto, enorme, con due occhi terribili, lucenti: i fanali di un autocarro, il muso di ferro alto come un muro che si abbatteva da un fianco sulla Thunderbird di Fred Buscaglione. Credette per un attimo di poterle sfuggire, premendo al massimo il piede sull'acceleratore. Ma era già troppo tardi. Quattro tonnellate di pietre caricate sul camion spinsero il muso di ferro contro la vita di Buscaglione. Fred era ormai morente quando lo districarono dai rottami. Lo caricarono su un autobus vuoto che andava al deposito. L'autobus si precipitò ruggente per le strade ancora deserte. Un solo passeggero a bordo: Fred Buscaglione che moriva. «Con questa macchina arriverò in capo al mondo», aveva detto a proposito della sua Thunderbird, pagata in contanti sei milioni. Il suo colore, rosa-lilla, era stato creato apposta per lui. Non c'erano altre macchine così a Roma. Tuttavia al momento dell'incidente nessuno l'aveva riconosciuta. E nemmeno lui avevano riconosciuto, tanto il suo volto era sfigurato. Da almeno cinque anni, ossia dal giorno in cui era diventato famoso, questa era la prima volta che gli accadeva. Ma la Roma by night del 1960 era ancora quella giusta, che pulsava, dove ogni sera in qualche locale succedeva sempre qualcosa. La voce dell'incidente si sparse immediatamente fra gli orchestrali da night, i suoi grandi amici, una categoria di lavoratori sempre sveglia a quell'ora. Fatalmente arrivò anche a qualche suo amico. A Ugo Tognazzi per esempio, che se la spassava alle "Grotte del Piccione", a Maurizio Arena, che quella sera conservava il suo mito al "Club 84", in via Emilia. Sia Tognazzi che Arena abbandonarono tavoli e accompagnatrici e si precipitarono sul luogo dell'incidente. Lo stesso fece Gino Latilla, un cantante melodico che pure si era convinto alle "criminal-songs" di Buscaglione. Il telefono squillò anche in casa di Paolo Panelli e Bice Valori, che avevano appena finito di girare accanto al cantante «Noi duri» (terzo film di Buscaglione dopo «A qualcuno piace Fred» e «I ragazzi del juke-box»). La moglie Fatima venne avvertita a Firenze, dove cantava in un night. Da acrobata, l'algerina Fatima Ben Embarek, dopo esser stata rapita e sottratta da Fred alla troupe paterna, venne trasformata in Fatima Robbin's, cantante confidenziale. Ma il matrimonio era finito da tempo. La nuova compagna del cantante torinese era Maria Grazia Buccella, che proprio in quell'anno rappresentò l'Italia al concorso Miss Mondo. Buscaglione se ne era andato come un soffio, proprio come un personaggio del miglior Damon Runyon, lo scrittore americano che come nessun altro ha saputo raccontare in chiave umoristica i "tipi" e le "tipe" del sottobosco criminale della Broadway degli anni ruggenti. Proprio a Runyon si ispirava Leo Chiosso, grande amico del cantante e autore di tutti i suoi testi, possessore di una ricetta infallibile: vivere di prepotenza una serie di avventure che dalla loro grottesca truculenta facevano scaturire situazioni di paradossale umorismo.