Igor, con quella faccia da straniero

IgorMan è stato un grande giornalista. Tra i più importanti giornalisti italiani della seconda metà del Novecento, un inviato speciale e un analista di politica internazionale. Fu uno dei primi redattori de "Il Tempo", chiamato da Renato Angiolillo agl'inizi dell'avventura di questo quotidiano. E vi rimase per 18 anni, fino al '63. Un viaggiatore che ebbe la capacità di aprire infiniti colloqui con grandi protagonisti della scena, specie mediorientale, e con personaggi saliti agli onori delle prime pagine per le ragioni più svariate. Si chiamava Igor Manzella ed era aiutato nel suo lavoro da un aspetto che lo assomigliava a uno straniero, a qualcuno degli esponenti della cultura islamica con i quali ebbe rapporti intensi e dai quali ricevette preziose confidenze. In età adulta ebbe in dono dalla natura una ciocca bianca e un colorito bruno che gli conferivano un'immagine esotica. Un'immagine rafforzata da un anello con pietra dura che aveva all'anulare sinistro: un anello che accompagnava nei gesti una conversazione distesa, talvolta vaga in apparenza, ma sempre in realtà mirata alle profondità della conoscenza. Rafforzata ancora da uno sguardo mai febbrile e dai baffetti da notabile egiziano. Non parlava, non scriveva per sentito dire, ma quasi sempre per diretta testimonianza raccolta in palazzi orientali, in teatri di guerra, in tende di generali, in studi di governanti: in luoghi nei quali era giunto spesso fortunosamente. A differenza di tanti altri giornalisti che dimenticano subito l'esperienza fatta "sul campo". Igor Man fu di quelli che tesaurizzarono l'esperienza: nel senso che continuò, per esempio, a intrattenere rapporti con persone e personalità che dalla luce dei riflettori erano passati alla penombra. E questo per tenere aperti i canali d'informazione, per collaudare le notizie dell'ultimo momento, per raccogliere giudizi autorevoli e derivati da indubbie competenze. Modalità professionali, le sue, che lo qualificarono come un editorialista i cui testi furono nei dossier di diplomatici e di uomini politici. In ultimo, verso gli ottant'anni, scrisse su "La Stampa" (il suo giornale) presentandosi come "il vecchio cronista". Firmava gli articoli con il suo nom de plume ma ne emergeva l'immaginaria figura del cronista molto avanti negli anni, che ne ha viste e raccontate di tutti i colori e che possiede, in forza d'una lunga ed onesta militanza trascorsa tra gli eventi, le chiavi interpretative per sceverare i fatti e per inquadrarne correttamente gli attori. Questi articoli del "vecchio cronista" restano piccoli ma autentici capolavori, indimenticabili. Ma Igor Man, che donò ai suoi lettori tanti reportages di taglio letterario, qualche volta si fece anche autore di testi di narrativa: e fu così pure un narratore degno delle antologie del nostro Novecento. Direi che la sua fu una narrativa di derivazione pirandelliana, e ciò può trovare spiegazione in parte delle origini familiari di Igor Man, siciliane (ma la madre era russa). C'era quasi sempre, nei suoi racconti, l'imprevisto: il momento o il personaggio che d'un colpo si fa perno della narrazione tutta. Se ne va un talento della scrittura, un conoscitore di molte pieghe, della nostra storia e di molti giganti, da Komeini a Padre Pio.