Camilleri e il Bardo

Si chiamava Michele Agnolo Florio Scrollalanza e, per la sua origine quacchera che lo costringeva a fuggire dalle persecuzioni religiose, ebbe una vita girovaga che lo portò a soggiornare in luoghi assai diversi, dalle Isole Eolie a Messina, da Venezia a Verona a Londra. E sarebbe certo un vanto che si aggiunge agli altri di cui è già ricco il nostro paese, pensare che dietro di lui si celi la vera identità del grande bardo, ospitato a Stratford da un oste, forse parente da parte di madre, che, affezionatosi a lui, avrebbe preso a chiamarlo col nome del figlio morto William. Mentre il cognome originario, mutato nell'inglese Shakespeare di ugual significato, gli avrebbe consentito di vivere, senza dover più fuggire, nel mistero di un'identità che sarebbe stata consegnata alla storia dalle sue opere immortali. Una leggenda, certo, ma non del tutto priva di plausibilità, data la conoscenza dei luoghi, della lingua e delle scene italiane che si coglie nelle numerose tragedie e commedie da lui scritte. Tra cui non manca un'opera ispiratagli da un moro, suo vicino di casa a Venezia, spinto dalla gelosia ad uccidere la propria moglie. Un soggetto in cui non è difficile ravvisare l'amore disperato del più celebre Otello. Così come non sfugge la somiglianza di questo «Troppu trafficu ppi nenti», da lui scritto in dialetto messinese, con lo shakespeariano «Molto rumore per nulla», dato alle stampe 50 anni dopo, di cui sembrerebbe essere la versione originaria. Solo un'ipotesi, tale tuttavia da rendere particolarmente affascinante l'allestimento del testo ad opera del Teatro Stabile di Catania in scena al Globe Theatre di Villa Borghese da oggi al 22 luglio. Dove l'adattamento, scritto a quattro mani da Andrea Camilleri e da Giuseppe Dipasquale, che dello spettacolo cura anche la regia, opportunamente interviene a dilatare alcuni spunti dell'azione, appena accennati nell'originale e tuttavia nodali all'interno dell'azione. Ma anche a snellire l'eccessiva frondosità dei dialoghi per giungere a una più chiara incisività dei caratteri. Col risultato di un allestimento che coniuga insieme solennità di portamento e riquadri burleschi, modi levantini ed espressività caricaturali. Mentre siciliano illustre e modernità di accenti si affiancano in un teatro di parola punteggiato di assonanze orientali e di fonemi arcaici di cultura antica.